Laforgia solleva la questione di costituzionalità dell’articolo 576 del Codice di procedura penale

La legge italiana consente alla parte civile costituita nel processo penale di impugnare la sentenza di proscioglimento e il giudice (penale) di appello può condannare al risarcimento dei danni anche l’imputato già definitivamente assolto con formula piena, perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso. Lo standard probatorio prevede che il giudice penale deve sempre accertare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e non secondo i parametri del processo civile. Anche per pronunciarsi sui danni.

La tenuta di questo sistema è stata posta in seria discussione dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che con decisione pubblicata il 20 ottobre scorso, ha ritenuto l’analogo sistema processuale della Repubblica di San Marino in contrasto con la presunzione di non colpevolezza prevista dall’art. 6, comma secondo, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte di Strasburgo ha detto che l’imputato definitivamente prosciolto per prescrizione nel processo penale “è innocente agli occhi della legge” e come tale deve essere considerato, anche in sede civile. Tanto più se le regole di giudizio sono le stesse.

La questione è stata sollevata per prima dalla Corte di Appello di Lecce, con un’ordinanza del 6 novembre 2020, rimettendo alla Corte Costituzionale il giudizio sulla legittimità costituzionale dell’art. 578 del codice di procedura penale, che consente al giudice penale di pronunciarsi sulla responsabilità civile dell’imputato in caso di estinzione del reato per prescrizione. I giudici salentini hanno ritenuto che il principio enunciato dalla CEDU, vincolante anche per il legislatore e i giudici nazionali, ai sensi degli artt. 11 e 11 della Costituzione, è incompatibile con l’attuale formulazione della norma. Questione analoga è stata sollevata a Bari, sei giorni dopo, davanti alla Prima Sezione della Corte di Appello, in un processo per omicidio colposo a carico di tre medici. Gli imputati sono stati assolti in primo grado perché il fatto non sussiste e la decisione non è stata impugnata dal PM. Sono quindi definitivamente innocenti, per la legge penale. Ma la sentenza è stata appellata dalle parti civili, parenti della vittima, che, nonostante il giudicato penale, hanno chiesto la condanna dei sanitari al risarcimento dei danni. Il processo era stato fissato, per la discussione, lo scorso 12 novembre, in Corte di Appello.

In udienza l’Avv. Michele Laforgia (nella foto), founding partner di Polis Avvocati ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 576 c.p.p., richiamando i precedenti della CEDU e della Corte salentina: se è illegittima la norma che consente la condanna civile in caso di estinzione del reato, lo è a maggior ragione la disposizione che ammette la possibilità di impugnare una assoluzione definitiva nel merito, sia pure per gli interessi civili. L’imputato innocente con sentenza irrevocabile non può essere più ritenuto colpevole, neppure ai soli fini civili. A suffragio del contrasto delle norme processuali vigenti con i principi del diritto europeo è stata richiamata anche la Direttiva n. 2016/UE/343, immediatamente vincolante per gli Stati membri. La Corte (Presidente La Malfa, a latere Caso e De Robertis) ha ritenuto la questione pregiudiziale e rinviato la decisione al 19 febbraio 2021. In quella sede deciderà se rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.

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