CASSA FORENSE E PENSIONI
Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo a cura di Fabrizio Colonna.*
Domani, 11 novembre, fatte salve probabili proroghe, scadranno i divieti alle vendite di titoli allo scoperto in Italia, Belgio, Francia, Spagna e Grecia. Chissà se e quanto questa deadline incida sulle attuali speculazioni; nel frattempo il Ministro dell’Interno Roberto Maroni a “Che tempo che fa” domenica sera menzionava, da avvocato quale è, le difficoltà incontrate nel proporre qualsiasi tipo di manovra/riforma anche per le resistenze delle lobbies come quella degli avvocati. Eppure, paradossalmente sarebbe sufficiente applicare il principio solidaristico proprio della Cassa Forense anche agli altri enti erogatori di pensioni per risolvere uno dei maggiori problemi esistenti, con la conseguente riduzione dello lo squilibrio pensionistico, l’eliminazione delle pensioni d’oro e l’incentivazione di forme previdenziali (e di risparmio) integrative. Infatti, nel 2011 il tetto contributivo per le pensioni degli avvocati è pari ad 90.100,00 euro, ma – a fronte di ciò – un anno addietro l’allora presidente della Cassa Forense dichiarò a La Repubblica (suppl. Affari & Finanza, 22 novembre, pagg.16 e 17) che il “tetto massimo raggiungibile di pensione è 50-52 mila euro per 35-40 anni di lavoro”.
A tutti gli avvocati iscritti alla Cassa è garantita una pensione minima intorno ad euro 10.160,00 annui . Forse si potrebbe iniziare con deputati, senatori e consiglieri regionali, per poi estendere il principio solidaristico ad una platea di soggetti interessati sempre più ampia , o forse abolirlo per la Cassa Forense, dato che serve soprattutto a pagare le pensioni di tanti colleghi evasori fiscali. Infatti, nel 2009 c’erano 55.028 avvocati iscritti agli Albi ma non anche alla Cassa Forense, contro 156.934 avvocati iscritti agli Albi ed alla Cassa, per un totale di 211.962 avvocati: il 35% degli avvocati iscritti agli Albi non era quindi iscritto alla Cassa, possibile che avessero tutti un reddito professionale IRPEF inferiore a 9.000 euro, ed un volume d’affari IVA inferiore a 13.500 euro ? E qual è la causa dello squilibrio tra il distretto di Milano (copertura previdenziale nel 2010 pari al 94%) e quelli di Catanzaro (51%) e di Reggio Calabria (50%) ? Può essere il dato riferibile ai nuovi avvocati iscritti alla Cassa (14.220 nel 2008, ma in diminuzione a 11.285 nel 2010) ? (fonte: La Previdenza Forense, n. 2 del 2011). Ma v’è di più ! Nel 2009 il tetto contributivo era di euro 86.700: bene, quanti erano sui 156.934 avvocati iscritti agli Albi ed alla Cassa quelli avevano dichiarato un reddito professionale IRPEF superiore a tale importo ? Solo 17.544, poco più del 10% ! Perchè quindi pagare più contributi del necessario, si saranno forse chiesti in molti colleghi, comportandosi di conseguenza. Cosa fanno Cassa Forense ed Ordini territoriali per impedire tale distorsione ? E il Consiglio Nazionale Forense ? E l’Agenzia delle Entrate ? E l’U.I.F. ? Nel frattempo assistiamo – finalmente – alla ventilata possibilità di esercitare la professione in forma societaria introdotta nella bozza dell’ultimo “Decreto Sviluppo” (ulteriore sia al decreto legge 13 maggio 2011 n. 70 recante “Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l'economia” convertito nella legge 106 del 12 luglio 2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2011, che al decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", convertito nella legge n. 148 del 14 settembre 2011 n. 148 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 16 settembre 2011, che all’art. 3 già prevedeva la riforma degli ordinamenti professionali, evidentemente risultati non sufficienti) ripresa dal “maxi emendamento al disegno di legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012” (rubricato come AS 2968 ed esaminato dal Consiglio dei Ministri del 2 novembre, iniziato alle 20:40 e terminato alle 22:15, fonte http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=65334&pg=1%2C2203%2C3309&pg_c=2 ) che in uno stesso articolo disciplinerebbe sì le società tra professionisti ma anche la riforma degli ordini professionali (già inserita all’art. 3 del richiamato d.l. 138) , mentre in quello successivo avrebbe previsto la liberalizzazione totale delle attività economiche svolte in forma imprenditoriale e professionale . La saga continua, in maniera come al solito confusa, l’Italia crolla, Antonio Socci scrive che ci rimane solo che pregare (http://www.antoniosocci.com/ , Libero, 6 novembre 2011), credo abbia proprio ragione.
*avvocato, membro del Comitato Esecutivo di ASLA, Associazione Studi Legali Associati