DANOVI: PERSONALITA’ GIURIDICA E PUBBLICITA’ DEI BILANCI PER LE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI

In questi giorni si continua a parlare tanto di riforma delle professioni, ci sono convegni e tavole rotonde in tutta Italia in cui i presidenti degli ordini, il presidente del Cnf Guido Alpa e il presidente dell'Oua Maurizio De Tilla premono per un passo indietro rispetto a quanto fatto fino ad ora. Anche in parlamento si apportano emendamenti alla legge che tentano di annacquare quel poco che è stato fatto sulla liberalizzazione della professione legale. Abbiamo sentito in proposito, il professor Remo Danovi (in foto), una voce di assoluta autorevolezza e credibilità, disinteressata, conversando sul futuro della professione, assodando che forse anche nel mondo dei legali ci vorrebbero più leadership e meno astensioni dalle udienze.

D. Professor Danovi, grazie innanzitutto del suo tempo e della sua disponibilità. Non pensa che forse fino ad ora è stato fatto troppo poco?

R. In effetti, a me sembra che prevalgano ancora una volta le proteste sulle proposte concrete e sulle soluzioni. Infatti, come già nel 2006, in occasione del decreto Bersani, le proteste sono generalizzate su tutti i problemi e in particolare sulla abrogazione delle tariffe, e si insiste per reintrodurre l’inderogabilità dei minimi, mentre più semplicemente si dovrebbe prendere atto, a mio avviso, che il sistema delle tariffe può essere mantenuto soltanto come indice di riferimento, particolarmente per sanzionare la soccombenza, e deve accettarsi che prevalga la volontà delle parti, come avviene del resto nelle legislazioni di quasi tutti i paesi europei. Se si accetta questo principio si possono suggerire molteplici criteri (la tariffa oraria, la previsione di un compenso in funzione delle diverse possibili attività richieste dal caso concreto, un premio per il risultato favorevole, e così via) che faciliterebbero anche l’accordo con la parte assistita, tutelando al contempo la qualità della prestazione e la dignità della professione.

D. Comprendiamo che il problema delle tariffe potrebbe essere superabile, e non è comunque il più grave per l’Avvocatura.

R. E’ vero. L’intervento del legislatore più preoccupante è quello che riguarda l’assetto delle società tra professionisti (S.T.P.), con la possibilità di inserire soci di capitali al loro interno senza limitazioni di quote. Questa soluzione rappresenta un serio pericolo per l’avvocatura perché tende a svilire i principi cardine della professione (si pensi all’indipendenza, all’autonomia, alla riservatezza, al segreto professionale, alla fedeltà all’ordinamento, al diritto di difesa di fronte a un socio di capitali il cui interesse è rivolto essenzialmente al profitto). Non va dimenticato invero, in qualsiasi progetto di riforma, che le professioni intellettuali devono essere difese nella loro professionalità, come sintesi di qualità tecniche e qualità etiche, le une unite indissolubilmente con le altre, e il mero riferimento all’interesse economico non appartiene alle professioni.

D. Cosa pensa dell’abrogazione della legge sulle associazioni professionali?

R. La legge di stabilità, presentata il 10 novembre, e approvata velocemente il 12 novembre, all’art. 10, comma 11, prevede l'abrogazione della legge 1815 del 1939 sulle associazioni professionali. Nella stessa legge, tuttavia, il comma 9 prescrive che sono “fatti salvi i modelli societari e associativi esistenti”! E’ curioso questo modo di legiferare, che lascia le associazioni professionali esistenti senza una regolamentazione specifica, aggravando senza risolvere il vero problema, cioè quello della loro mancanza di personalità giuridica. In altre parole: le associazioni professionali dovevano e devono essere protette perché hanno dato ottima prova (più di quanto non abbiano dato le s.t.p. che la legislazione del 2001 consente di costituire tra avvocati, con richiamo alle società in nome collettivo), e non devono essere eliminate. Per questo è auspicabile una modifica della legge (modifica richiesta vivamente, tra gli altri, dall'Ordine dei notai di Milano con le iniziative assunte anche dal presidente del Consiglio Notarile di Milano, dott. Domenico De Stefano). La modifica dovrebbe tendere da un lato a consentire la costituzione di associazioni professionali con personalità giuridica, attribuendo l’identico status alle associazioni già esistenti, e d’altro lato a modificare la legge di stabilità per quanto riguarda le società di professionisti, eventualmente utilizzando lo schema già esistente per le società tra avvocati.

D. Sono un osservatore di questo mondo da circa 12 anni. La cosa che più mi ha sempre colpito è la mancanza di pubblicità dei bilanci degli studi. Per una serie di motivazioni: la prima di tipo strettamente fiscale, e indirettamente sociale, la seconda per una questione di trasparenza nella concorrenza. Per esempio un bilancio trasparente in cui si legge che il 5% degli investimenti è dedicato al marketing dà la possibilità di monitorare la concorrenza nelle sue azioni di posizionamento sul mercato. Cosa ne pensa?

R. Credo che la questione debba essere analizzata da un punto di vista differente. La pubblicazione del fatturato e, ancora più analiticamente, del bilancio dello studio è un problema che riguarda solo una parte dell’avvocatura, quella dei grandi studi, soprattutto di matrice internazionale. In ogni caso, non ho particolari riserve sulla possibilità-obbligatorietà che il professionista o lo Studio Associato rendano pubblico il proprio fatturato, e il proprio bilancio, se questo può essere una ulteriore modalità per assicurare la piena correttezza degli studi, anche sotto il profilo fiscale.

D. Carriera universitaria e avvocatura. Incompatibili?

R. La legge professionale e le norme in materia di organizzazione delle università stabiliscono una dettagliata disciplina sull’incompatibilità tra professori universitari e attività professionale. È infatti previsto che i professori ordinari che abbiano optato per il tempo pieno non possano svolgere alcuna attività professionale, salvo limitate eccezioni; al contrario i professori che abbiano optato per il tempo definito possono svolgere regolarmente l’attività. Personalmente ritengo che la possibilità concessa al professore universitario di esercitare contemporaneamente la professione rappresenti un’opportunità per l’intera avvocatura di garantire competenze, prestigio e professionalità: qualità di cui certamente può trarre vantaggio anche l’assistito.

D. Il sistema dei crediti formativi, così come è stato realizzato ormai da qualche anno, non mi convince per le seguenti motivazioni: innanzitutto si dovrebbe offrire una formazione più adeguata al mercato, come già si faceva in passato in alcuni studi più o meno grandi. Come si scrive un contratto di M&A, come si fa una due diligence, come si fa una ristrutturazione, come si legge un bilancio oltre ai soft skills. E poi il sistema dei crediti formativi appaltato a privati a pagamento mi sembra poco equo e non meritocratico oltre ad obbligare i giovani avvocati spesso non proprio benestanti a pagare una merce, talvolta, di bassa qualità e a offrire a formatori non sempre all'altezza opportunità speculative. Mi illumina in proposito?

R. Per molto tempo la formazione continua, o formazione permanente, è stata un'aspirazione con un valore prevalentemente simbolico, per indicare la capacità dell’avvocatura di superare l’auto-referenzialità e programmare il miglioramento costante delle capacità professionali. Poi le proposte si sono intensificate e sono stati formulati progetti concreti, fino ad arrivare alla regolamentazione specifica del 2007, che ha introdotto un sistema basato sull’acquisizione di un numero minimo di crediti formativi attribuibili a ciascun professionista mediante la partecipazione a eventi formativi accreditati dal consiglio dell’Ordine o dal Consiglio nazionale o lo svolgimento di particolari attività didattiche. È ancora troppo presto per fare un bilancio sulla validità della disciplina così come è prevista dal Regolamento del 2007: saranno certamente necessari alcuni correttivi per garantire un’equa partecipazione a tutti i professionisti e, nel futuro, non mancheranno certamente corsi su più specifiche tematiche. Certo, bisogna aggiungere al forte richiamo simbolico, l’utilità pratica di seguire corsi concreti che sviluppino attitudini e capacità, cioè la specializzazione. E proprio questo è l’obbiettivo. La formazione invero non deve essere intesa come un' attività isolata, ma come un percorso che rende possibile e giustificabile la specializzazione; e questa dovrebbe essere riconosciuta al più presto, soprattutto alla luce della sentenza del Tar Lazio che ha recentemente dichiarato illegittimo il Regolamento che le istituiva. Ecco ancora un tema da cui partire per affrontare in modo costruttivo il rilancio della professione.

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