Vasques (DDPV) e Mendolia (RASS) vincono al Cds per Named

Il Consiglio di stato con una recentissima sentenza (10 aprile 2020 n. 2371 /2020) ha confermato l’annullamento di una decisione dell’AGCM in tema di pratiche scorrette, con riferimento ad alcuni claim pubblicitari di un integratore alimentare (Immunage, prodotto alla papaia fermentata della Named S.p.a.)

Uno degli argomenti dell’AGCM posti a sostegno della natura ingannevole di alcuni claim relativi al prodotto Immunage, consisteva nel fatto che questi ultimi non erano stati specificamente autorizzati né da un organismo europeo deputato ad autorizzare il contenuto di claim per ingredienti utilizzati negli integratori alimentari (European Food Safety Authority – EFSA), ai sensi del Reg. UE 432/2012, né dal Ministero della Salute.

Il sillogismo dell’AGCM nella decisione annullata era semplice, qualunque claim di un integratore alimentare non espressamente autorizzato dall’EFSA e/o dal Ministero della Sanità è di per sé ingannevole, non essendo consentito provare (anche con la produzione di materiale scientifico di supporto) che un claim non autorizzato possa comunque contenere indicazioni non ingannevoli, fatto che aveva peraltro indotto l’AGCM a ignorare il materiale scientifico prodotto dalla Named nel procedimento, per supportare la veridicità dei claim oggetto di contestazione.

Il Consiglio di stato confermando l’annullamento della decisione dell’AGCM ha puntualizzato che la “ … non inclusione nel registro non costituisce, in assoluto, presupposto di illegalità dell’utilizzo di un claim non registrato”, considerato peraltro che il regolatore comunitario può autorizzare nuovi claim su specifica richiesta delle imprese.

Partendo da tale presupposto, il CDS ha dunque ritenuto fosse onere dell’AGCM provare non con semplici presunzioni ma con un analisi in fatto, l’ingannevolezza dei messaggi incriminati, sul punto il CDS ha rilevato che l’AGCM “…. non ha neppure dimostrato adeguatamente la pericolosità dei messaggi e soprattutto l’idoneità degli stessi ad indurre in errore il consumatore”.

La sentenza ha un impatto notevolissimo in quanto pone un limite a meccanismi presuntivi di illiceità che l’AGCM possa adottare anche per alleggerire i propri oneri probatori, indicando la strada maestra della valutazione in fatto e della prova dell’effettiva abilità di un messaggio pubblicitario a ingannare un consumatore medio, evitando peraltro di assegnare al regolatore compiti di accertamento preventivo della “verità” o “falsità” di un messaggio pubblicitario,  in assenza di una reale istruttoria volta all’accertamento dei fatti in concreto.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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