Brevettazione: l’Italia rallenta, ma scommette sull’effetto unitario

di Vittorio Cerulli Irelli* e Lorenzo Battarino**

L’ultimo Patent Index pubblicato qualche giorno fa dall’Ufficio Europeo dei Brevetti analizza l’andamento delle domande di brevetto presentate in Europa nel corso dell’ultimo anno, e fornisce dati interessanti sulla propensione alla brevettazione delle imprese italiane. Il numero totale di domande di brevetto europeo (199.264) è sostanzialmente stabile rispetto al 2023, mentre l’Italia segna un’inversione di tendenza: dopo un decennio di crescita sostenuta, nel quale il numero di domande depositate è sostanzialmente raddoppiato, le domande italiane di brevetto europeo sono per la prima volta diminuite del 4,5% rispetto all’anno precedente, attestandosi a quota 4.853. L’Italia si colloca così in quinta posizione tra i Paesi dell’Unione Europea, preceduta da Germania (25.033 domande), Francia (10.980), Paesi Bassi (7.054) e Svezia (4.936).

Rilevante, tuttavia, è il dato sulla crescente adesione delle imprese italiane al nuovo sistema del brevetto europeo con effetto unitario: con 1.666 domande, l’Italia si colloca dietro solo a Germania e Francia, ma con una percentuale di adesione superiore, segno di una crescente fiducia in questo nuovo strumento e nella relativa giurisdizione centralizzata del Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC), che mette a disposizione delle imprese italiane uno strumento di tutela estremamente efficace nella difesa dell’innovazione.

Rimane tuttavia il problema strutturale per l’innovazione nel nostro Paese: l’Italia presenta ancora un numero di domande di brevetto per milione di abitanti (circa 82) ben al di sotto della media europea e molto distante dai Paesi ai vertici, come la Svizzera (con oltre 1.100 domande per milione di abitanti). Il dato, pur parzialmente attenuato dall’aumento generale degli investimenti in innovazione, riflette una cultura industriale ancora poco orientata alla valorizzazione sistematica della proprietà intellettuale, in particolare tramite brevettazione. Le aziende italiane, in larga maggioranza PMI, eccellono infatti nella cosiddetta innovazione incrementale e di prodotto, ma spesso non dispongono della struttura necessaria per intraprendere percorsi di ricerca di base, più costosi e a lungo termine, che più tipicamente generano brevetti.

In questo contesto, spesso risulta più semplice tutelare le proprie innovazioni mantenendole segrete, ed infatti l’Italia è uno dei Paesi nei quali lo strumento del know-how è più utilizzato. Secondo i dati EUIPO, infatti, il nostro è il Paese europeo con il maggior numero di contenziosi in materia di segreti: tra il 2017 e il 2022 sono stati avviati ben 151 procedimenti giudiziari in tale ambito, superando nettamente Germania, Francia e Spagna.

L’ampio ricorso alla tutela del know-how è coerente con la struttura del nostro tessuto imprenditoriale, ma non è sufficiente. Il segreto industriale protegge efficacemente contro gli illeciti di dipendenti, collaboratori e partner commerciali, legandoli in modo più intenso all’impresa, ma è inefficace nei confronti dei concorrenti che, tramite sviluppo indipendente o reverse engineering, possono riprodurre le soluzioni innovative più interessanti. Quando è necessario proteggere la propria posizione sul mercato, solo il brevetto consente di impedire efficacemente l’ingresso di terzi in un nuovo spazio tecnologico.

Il nuovo brevetto unitario, in questo senso, offre alle imprese una tutela forte, veloce e accessibile: un unico titolo valido in tutti i 18 Paesi europei aderenti e un foro specializzato – l’UPC – in grado di garantire decisioni rapide, avente effetti su un mercato di quasi 400 milioni di persone. Una crescente adozione dello strumento rappresenta quindi un’evoluzione naturale per chi intenda passare da una strategia difensiva centrata sulla segretezza a una più offensiva, basata su diritti esclusivi titolati.

Va proprio in questa direzione il segnale positivo dell’adesione al brevetto unitario da parte delle imprese italiane: queste hanno compreso che, nel contesto ipercompetitivo di mercato globale e sempre più tecnologico, il possesso di diritti esclusivi da utilizzare come strumento competitivo sul mercato non è più un’opzione, ma una necessità.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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