Nelle case dei partner…di domani

di Giuseppe Salemme

Un guardaroba pieno di scarpe col tacco, ordinatamente disposte l’una sull’altra. Una grande terrazza con pavimento in cotto e vista sulla stazione centrale. Un comodino con sopra appoggiato il libro Tecno feudalesimo di Yannis Varoufakis. Una Playstation 5. Coinquilini colleghi; coinquilini che lo erano ma poi hanno vinto un concorso pubblico. Almeno un paio di condizionatori portatili. La bandiera di un gruppo ultras appesa al muro a mo’ di arazzo.

Sono alcune delle cose che ho notato nelle case di quattro ragazzi che proprio in questi anni, a Milano, hanno iniziato le loro carriere da avvocati. Un piccolo campione della futura classe forense, accomunato dall’aver iniziato la carriera in un’epoca di profondi cambiamenti nell’economia e nel mercato del lavoro: un periodo segnato dalla pandemia di Covid-19, ma anche dalla crisi abitativa che sta riguardando tutti i grandi centri urbani, e il capoluogo lombardo in particolare.

La Milano di oggi è lo sfondo di tutte le loro storie: iniziare qui, al di fuori dell’ironia (si veda il box), è effettivamente diverso. Soprattutto perché l’incidenza del fenomeno che chiamiamo “avvocatura d’affari” è sentita più qui che altrove: quindici anni fa, circa il 40% dei praticanti avvocati iscritti all’Ordine di Milano era anche abilitato al “patrocinio sostitutivo”, e cioè a svolgere molte delle attività giudiziali proprie degli avvocati; oggi è abilitato solo il 6,5%. Un dato spiegabile con la sempre maggiore prevalenza delle attività stragiudiziali e della consulenza, terreni di casa delle law firm, oltre che con l’adozione generalizzata delle modalità di organizzazione del lavoro tipiche delle grandi strutture.

Milano è in controtendenza anche rispetto ai numeri di praticanti attivi sul suo territorio. Mentre in altre grandi piazze come Roma e Napoli solo nel 2022 si è registrato il primo calo di iscritti dopo circa quindici anni di crescita costante, a Milano quel numero è in calo costante dal 2015 (per un complessivo -17,5% di iscritti nel registro praticanti in nove anni). I trainee lawyer milanesi sono oggi 4.007, di cui 2.522 donne (il 62%); quasi uno su quattro ha più di trent’anni. Tra i circa 20mila che avvocati lo sono già, gli under 35 sono invece 4,462; anche qui le donne sono ormai netta maggioranza, costituendo il 57,3% del totale.

Marzia rientra proprio in quest’ultima categoria. Ha 31 anni, è campana e fa l’avvocata: attualmente si occupa di antitrust e tutela del consumatore, nello studio legale di una società di consulenza. La incontro una mattina di gennaio nella zona sud di Milano, a due passi dalla metro di Sant’Agostino. «Se devi fare foto fammi sistemare prima!» mi dice mentre mi fa strada in casa. Che in realtà non è affatto in disordine: è un appartamento milanese vecchio stile, con un corridoio centrale intorno al quale si aprono cucina, bagno e tre camere da letto. «Una delle mie coinquiline è architetto; l’altra faceva l’avvocato, ma ora non più perché ha vinto un concorso pubblico», mi spiega. Ci accomodiamo nel salone in fondo al corridoio, l’unico vero spazio comune della casa. Mi racconta che è a Milano dall’estate 2022, dopo un’esperienza di stage non troppo positiva in un altro studio, a Roma: «Dissero che potevano offrirmi solo un prolungamento dello stage; io rifiutai, perché lo stipendio non mi bastava per vivere in un’altra città» racconta. «Nemmeno il tempo di uscire dal palazzo e mi richiamarono, dicendo che mi avrebbero dato quanto chiedevo. Sul momento mi convinsi a rimanere, ma il fatto che in quel frangente si fossero dimostrati disonesti mi rese difficile continuare a lavorare normalmente. Quindi, di lì a poco, me ne andai, inizialmente valutando l’idea di cercare lavoro vicino casa. Finché non mi si presentò quest’opportunità a Milano».

Sebbene tutti i giovani avvocati siano tendenzialmente molto indaffarati, con orari di lavoro che facilmente superano le 12 ore, Marzia lo è in modo particolare. Oltre a fare l’avvocata, è consigliera comunale nel suo comune di nascita, in provincia di Napoli: «Continuo a fare la spola, su e giù tutte le settimane. Questa casa per certi versi è solo un appoggio». Ma ci c’è voluto comunque molto a trovare una sistemazione adeguata alle sue esigenze: «La ricerca è durata quattro mesi, più o meno. Erano le coinquiline stesse a cercare una terza persona; il proprietario di casa non l’ho mai visto, sebbene mi dicono abiti in questo stesso palazzo». Per questi motivi, Marzia si definisce ancora una pendolare; ma si rende anche conto che la sua vita attuale non sarebbe stata possibile prima dello sdoganamento dello smart working: «In molti contesti, anche post-Covid, l’idea di non essere in studio tutti i giorni viene vista male. Su questo sono stata fortunata: sia perché dove lavoro i team sono in genere abbastanza “diffusi” sul territorio; sia perchè il mio socio di riferimento è sempre stato comprensivo rispetto alle mie necessità». Tutto bello in astratto; ma non è anche parecchio stressante come vita? «Sì. So che vivo una condizione transitoria, e che a un certo punto dovrò provare a definire la mia vita, ad esempio smettendo di fare politica e puntando tutto sulla professione. Per lungo tempo non ho avuto le idee chiare sul futuro; solo da poco ho raggiunto la consapevolezza che l’avvocato è quello che voglio fare».

Eppure la vena politica di Marzia viene subito fuori quando tocchiamo il tema della crisi abitativa. Pochi mesi fa, nel settembre 2023, decine di studenti si erano accampati di fronte alle sedi del Poltecnico e del Comune di Milano per protestare contro la carenza di alloggi per studenti a prezzi accessibili: «Solo chi l’ha vissuta può capire la sensazione di non avere uno spazio per sé» mi dice. «Credo che finché verrà consentito l’accumulo di proprietà in capo a una cerchia di soggetti (che qualche anno fa chiamavamo “palazzinari”), la situazione non si risolverà. Sempre più giovani meridionali migrano a nord, la domanda di alloggi è raddoppiata negli ultimi quindici anni: non vedo come l’emergenza possa terminare senza metterci mano a livello nazionale».

Anche Davide è avvocato. Trent’anni, originario di Lecco, si è trasferito a Milano nel 2019: «Ho sempre vissuto in case condivise, trovate soprattutto tramite amicizie: prima in via Savona, poi in zona Porta Venezia». Da qualche mese però ha scelto di andare a vivere da solo, in un bilocale in zona Dateo: «I prezzi sono aumentati molto, ma di pari passo con il mio stipendio: ad oggi spendo in affitto circa il 35% del mio mensile, che è abbastanza in linea con quello che si consiglia di solito». Mi fido di quello che dice, dato che il suo ambito di specializzazione è proprio il diritto immobiliare. Eppure non ha intenzione di comprare casa a breve: «Se rimarrò a Milano cercherò di mantenermi vicino alle sedi degli studi, tutti più o meno in centro».

Attualmente Davide lavora in…

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