L’intelligenza artificiale, gli avvocati e quel “via libera” non richiesto
La storia non chiede permesso. Credo che per molti sia assodato. Poi capita di seguire uno di quei super convegni in cui gli avvocati si radunano per fare il punto sullo stato delle cose e sulle prospettive future e ci si rende conto che, in realtà, alcune categorie pensano, con sincera convinzione, che la loro autorizzazione sia necessaria al cambiamento.
Con grande orgoglio, nel corso delle più recenti tra queste assise, si è detto (e poi scritto) che gli avvocati sono (finalmente, ndr) favorevoli all’intelligenza artificiale. Beh, non tutti-tutti. A seconda delle fonti e dei convegni, parliamo del 53% o del 58%. È una notizia? In parte. Nel senso che il dato, frutto di un sondaggio, d’interviste a distanza con un campione rappresentativo della categoria, è indicativo di un cambio di atteggiamento, se non altro da parte della maggioranza dei legali italiani, nei confronti della crescente presenza della tecnologia nella professione. Dall’ostilità si sta passando, piano piano, all’accettazione (anche se comunque bisogna ricordare che, secondo quelle stesse ricerche c’è ancora un 47% o 42% di avvocati italiani che all’IA dice «no» o «ma che ne so», col punto esclamativo). E questo è. Ma la domanda che il giornalista dovrebbe farsi, o che dovrebbe farsi l’osservatore economico, o il sociologo, o se volete l’avvocato che ha appena pronunciato il suo «sì» autorizzativo e non richiesto, è solo una: ma se dicessimo di «no», se quel fantomatico 53 o 58 per cento mettesse un bel segnale di divieto all’arrivo dell’IA nella professione, cosa cambierebbe? Credo che rispondere nulla non sia considerabile un azzardo. Perché il fatto stesso che questa promozione non richiesta arrivi “solo” all’alba del 2024, è la dimostrazione che tutti i Niet pronunciati con vigore in passato, sono serviti esattamente a poco.
In questo scenario, nell’Italia delle autorizzazioni non necessarie al cambiamento ma che comunque è sempre bene ostentare per dare l’idea di essere stati, se non i fautori, quantomeno i certificatori di qualcosa che esisteva già, sarebbe più rilevante cominciare a pensare a “come” e “quanto”.
Come gli avvocati pensano di impiegare l’IA?
Quanto sono disposti a investire per tale utilizzo?
Il cambiamento che serve alla categoria non riguarda solo pareri e convinzioni. È il passo con cui si affronta il mercato che richiede un nuovo ritmo e spesa adeguata. Lo spiegano altri dati. Quelli secondo cui, nel 2024, il 47% delle aziende ha incrementato il ritmo di adozione e integrazione della GenAI nei propri processi attraverso l’allargamento a tutte le funzioni aziendali, maggiori investimenti nell’infrastruttura tecnologica e la possibilità offerta a un numero sempre più numeroso di risorse aziendali, di accedere a questi strumenti. E ancor di più quelli secondo cui il 75% delle aziende prevede che l’intelligenza artificiale generativa porterà cambiamenti nelle loro talent strategy entro i prossimi due anni. Questo, direi, è il punto più rilevante di tutti: più di 7 aziende su dieci pensano di scegliere i propri collaboratori (interni ed esterni) anche in base alla capacità e confidenza che questi avranno con la cassetta degli attrezzi tech di cui, non solo, dovranno essere in possesso, ma che, a differenza di molti bricoleur interrotti, dovranno essere perfettamente capaci di usare.
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