Studi legali d’affari: (solo) un socio su 5 è donna

di nicola di molfetta

Cresce la popolazione legale attiva nelle prime 50 insegne d’affari sul mercato italiano (+9,3% nel 2022). Ma non cambia la proporzione tra il numero complessivo dei professionisti e quello della sua componente femminile. La pubblicazione dell’annuale speciale Best 50 di MAG (si veda il numero 201) diventa anche un’occasione utile per misurare lo stato dell’arte sul fronte del perseguimento degli obiettivi di parità di genere all’interno delle varie organizzazioni professionali. La prima notizia è che nel corso di un anno, nonostante il boom Esg e il florilegio di progetti e iniziative volte (anche) a ridurre il fenomeno del gender gap, le cose non siano cambiate. Esattamente come un anno fa, la percentuale di avvocate attive nei primi 50 studi legali d’affari attivi in Italia è rimasta pari al 43%. E se si guarda alla percentuale di socie sul totale dei componenti delle partnership di queste realtà, addirittura, si evidenzia anche un lieve calo con il passaggio dal 22 al 21% delle avvocate.

Si dirà: è una fotografia della generale condizione femminile nella professione in Italia. Ma questo è vero solo in parte. Infatti, da un lato le avvocate italiane sono molte di più di quelle che trovano spazio nelle principali insegne legali d’affari presenti nel Paese: 47,4%. Dall’altro, invece, mentre il divario di genere, a livello economico, continua a persistere in maniera significativa a livello di avvocatura nazionale (il reddito medio uomini è pari a 56.768 euro, mentre quello delle donne corrisponde a 26.686 secondo gli ultimi dati diffusi dalla Cassa Forense), questo risulta molto più contenuto all’interno dei cosiddetti studi organizzati dove, tendenzialmente, a parità di condizioni e grado, i compensi che spettano a un’avvocata sono gli stessi che otterrà un collega uomo.
Il punto, però, è che in queste organizzazioni, come abbiamo visto dal dato sulle partner, le possibilità di carriera per le donne sembrano più ristrette.

La lunga marcia verso l’affermazione di una professione women driven rimane lontana dall’ultimo miglio, poiché questo processo potrà dirsi compiuto solo quando tra avvocati e avvocate non ci sarà più alcuna distinzione in termini sia di considerazione del valore del lavoro svolto, sia in termini di reali opportunità di carriera. Limitarsi alla celebrazione di un dato quantitativo (quante sono le avvocate iscritte agli albi…) vuol dire accontentarsi del minimo sindacale.
Detto questo, non si può non considerare il fatto che le leadership dei grandi studi siano ancora poco femminilizzate anche perché le avvocate hanno cominciato ad avere spazi consistenti in queste strutture solo in tempi recenti. E quindi è legittimo ipotizzare che la tendenza possa presto essere invertita grazie al progressivo riequilibrio delle quote, determinato dalla crescita sul campo delle nuove professioniste.

Un fattore di accelerazione potrebbe, però, essere il mercato con la crescente attenzione del mondo dell’economia e delle imprese alle tematiche Esg. Aziende che pretendono di operare in ossequio a determinati principi non possono che scegliere di lavorare e collaborare con partner e fornitori altrettanto attenti alle stesse questioni. A marzo 2021, ha fatto molto rumore la lettera con cui il vertice legale dell’allora Eni Gas e Luce (oggi Plenitude) ha scritto agli studi e ai consulenti che collaboravano con la direzione legal regulatory e compliance affairs chiedendo un impegno concreto sulle tematiche di responsabilità sociale d’impresa.

Che ci sia un crescente commitment in questo senso si percepisce anche da alcuni piccoli segnali che arrivano sul fronte certificazioni. È di questi giorni, infatti, la notizia che, dopo LCA (che ha tagliato questo traguardo per primo nel 2022), anche lo studio Orsingher Ortu ha ottenuto la certificazione della parità di genere, in linea con le previsioni del Pnrr e con gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dall’Onu (Sdg numero 5, Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile) grazie al lavoro di un team guidato dal socio Alessandro De Palma. La certificazione è stata conseguita secondo la prassi di riferimento UNI 125:2022 e il Dpcm del 29 aprile 2022. Si tratta di una certificazione con validità triennale e soggetta a monitoraggio annuale.
Ottenerla non è semplice. Uno studio deve risultare virtuoso in tutte e sei le aree che la certificazione indaga: cultura e strategia, governance, processi Hr, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere e tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. 

La carrellata dei criteri che servono a ottenere questa certificazione spiega bene in che modo il modello dello studio legale debba essere ridisegnato per far sì che l’abolizione del gender gap e la promozione di un’autentica cultura dell’inclusione possano essere non più soltanto una dichiarazione di principio, ma si traducano in un impegno concreto del management di queste strutture.

Detto questo, non di sole certificazioni vive l’impegno degli studi legali d’affari per la parità di genere. E se, ad oggi, gli studi legali certificati su questo fronte sono ancora statisticamente irrilevanti, va comunque osservato che le organizzazioni impegnate a favore della parità di genere nella professione sono moltissime. Comitati, manifesti, iniziative: le modalità attraverso cui le associazioni professionali e le società tra avvocati hanno deciso di esercitare il loro impegno in favore della promozione delle pari opportunità sono molteplici.  Anche qui, possiamo citare qualche caso, a puro titolo esemplificativo, tra i più recenti. La sede italiana di….

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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