Avvocati: siete davvero certi di sapere cosa sarà uno studio legale nel 2033?
L’ultima edizione della Legalcommunity Week ha avuto un indiscutibile filo conduttore: la tecnologia. L’intelligenza artificiale (Ia), in particolare, è stata una sorta di convitato di pietra in molte delle nostre tavole rotonde. Una presenza costante, a prescindere dal tema che si stava trattando. Il che dice molto sulla dimensione che il fenomeno sta acquisendo.
Il salto digitale, l’evento dirompente, che da alcuni anni diciamo di aspettare, potrebbe essere definitivamente alle porte. Cosa succederà alla professione quando la tecnologia Gpt sarà sicura e definitivamente alla portata di tutti?
Chiedersi se ci sarà ancora bisogno di avvocati non è più un semplice esercizio di stile, ma una questione di fatto. L’Ia (o Ai, se vi sentite più internazionali) impara in fretta, non si stanca, non dorme, non si innamora, non si deprime, non si arrabbia, non perde tempo, non trova scuse, non piange, non ride, non fuma e non beve caffè. Uno studio legale che dovesse implementare un sistema di Ia a tempo pieno sarebbe necessariamente uno studio che avrebbe meno bisogno di avvocati. O quantomeno di avvocati tradizionali.
Fino a oggi la qualificazione di un professionista è stata per buona parte determinata dalle sue conoscenze tecniche. La competenza, per lungo tempo, è stata il principale valore aggiunto di un legale, il bene che questi poteva mettere a disposizione dei suoi assistiti e che questi non potevano procurarsi altrimenti. La professione come l’arte, fino a oggi, poteva, anzi, doveva essere per il 90% traspirazione e per il restante 10% ispirazione. Ecco: nel prossimo futuro non sarà più così. La componente creativa e intuitiva, quella che consente all’avvocato in carne e ossa di esser capace del guizzo che fa la differenza rispetto alle controparti sarà il reperto più importante conservato tra le rovine dell’archeologia forense.
La scorsa primavera, infatti, Gpt-4 ha superato brillantemente il suo secondo esame da avvocato negli Usa. Il primo tentativo, realizzato a gennaio era andato bene, ma non benissimo. Ma questo secondo, dopo appena tre mesi, ha registrato la trasformazione di un mediocre avvocato in un brillante professionista. Tre mesi. Tanto è bastato alla macchina per diventare quello che, di solito, una persona diventa in tre anni se non in trenta.
Nel test, curato dallo Stanford Center for Legal Informatics assieme a Casetext, GPT-4 non si è limitato a “passare”. Ha superato la parte dell’esame a scelta multipla ed entrambe le componenti della parte scritta, superando i punteggi di tutti i precedenti LLM (Large Lenguage Model), ma anche il punteggio medio di chi ha sostenuto l’esame di abilitazione nella vita reale, con un punteggio pari al 90° percentile.
Che implicazioni potranno avere questi sviluppi sulla professione e la sua organizzazione? Enormi. E ancora difficili da pronosticare. Non sono io a dirlo. Fidatevi di Richard Susskind (so che viene più facile…) che, nel suo ultimo passaggio in Italia, ha sottolineato proprio questo: quello che oggi la tecnologia è in grado di fare è molto meno disruptive di quello che pensiamo; ma quello che sarà in grado di realizzare nel prossimo futuro va ben oltre ogni nostra capacità d’immaginazione. E allora? Allora chiunque lavori o gestisca uno studio legale oggi, non può non considerare l’impatto della variabile tech sugli anni a venire. L’impatto che avrà sul profilo dei professionisti necessari alla costituzione di uno studio; l’impatto sulla logistica; l’impatto sui processi e quello sulla delivery. Quanti di noi, oggi, possono dire di sapere con certezza come sarà fatto uno studio legale del 2033?
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