Tub e brevetto unitario: gli opt-out sono già 500mila
di giuseppe salemme
Quello dell’integrazione brevettuale europea è un viaggio che va avanti da più di mezzo secolo. E che questo giugno, a cinquant’anni dalla Convenzione di Monaco del 1973 che ne costituì la prima tappa, può dire di essersi compiuto, almeno parzialmente: è infatti entrata ufficialmente in vigore la normativa sul brevetto europeo con effetto unitario.
Ciò significa che dal primo giugno, quando si presenterà all’Ufficio brevetti europeo domanda di brevetto, oltre a optare per il “classico” brevetto europeo (che più di un singolo brevetto rappresenta un “fascio” di singoli brevetti nazionali, ognuno da convalidare singolarmente) è possibile registrare il nuovo brevetto unitario, che garantisce una tutela uniforme in 17 Paesi. Oltre all’Italia, si tratta di Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia e Svezia. I restanti 7 sono Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Irlanda, Romania e Slovacchia. Ma il numero potrebbe salire fino a 24 qualora il trattato venisse ratificato dai firmatari che non hanno ancora provveduto.
La giurisdizione sulla nuova proprietà industriale europea è poi demandata al Tribunale unificato dei brevetti (Tub), anch’esso operativo dal primo giugno. È strutturato su due livelli: 19 corti di prima istanza distribuite sul territorio e una singola corte d’appello a Lussemburgo (ognuna con la possibilità di porre questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia UE). Ma è soprattutto un sistema nativo digitale: l’interfaccia web del case-management system (Cms) creato ad hoc scandirà le diverse fasi delle procedure, permetterà di attaccare e difendersi, ma anche, pare, di seguire la giurisprudenza delle corti quasi in tempo reale. Efficienza, velocità, specializzazione, costi ridotti e tutela uniforme: sono solo alcune delle esigenze di cui il nuovo regime vuole farsi carico. Ma ci riuscirà effettivamente?
I dubbi in proposito ci sono. Dopotutto si tratta di una corte nuova, ancora priva di giurisprudenza, ma con il potere di emanare decisioni di una portata senza precedenti per il settore. Come stanno reagendo i titolari di brevetti? Le opportunità superano i rischi? E quali sono questi rischi esattamente?
MAG ha voluto chiederlo, come sempre, a chi più di tutti si troverà in prima persona a fare i conti con le nuove norme: gli avvocati.
IN E OUT
L’entrata in vigore del nuovo regime è stata preceduta dal cd. periodo di sunrise: dal 1° marzo, tre mesi prima dell’inizio dell’operatività del Tub, è consentito ai titolari di brevetti europei di fare opt-out, e sottrarli alla nuova giurisdizione; una possibilità che rimarrà garantita per i prossimi 7 anni (prorogabili di altri 7) di “regime transitorio”. Ma è ragionevole pensare che i titolari di brevetti abbiano agito per tempo. E in effetti Net Service, la società che gestisce l’infrastruttura informatica del Tub, dichiara che gli opt-out sono stati già circa 500mila. Su un totale stimato di circa 1,2 milioni di brevetti europei, significa che oltre il 40% dei brevetti rimarranno nella giurisdizione delle corti nazionali.
«C’è grande circospezione» spiega Luigi Mansani, partner della practice IP di Hogan Lovells. L’avvocato spiega come il principale vantaggio del Tub per le aziende possa tramutarsi in un grande rischio: «Il brevetto europeo tradizionale non è altro che un “fascio” di brevetti nazionali, ognuno da azionare o difendere singolarmente: questo ha portato negli anni ad avere più contenziosi concomitanti in diversi Paesi, con gli stessi protagonisti, su quelli che di fatto sono gli stessi brevetti. Il sistema unitario consente invece di avere un unico brevetto e un unico contenzioso, evitando il rischio di decisioni difformi». Fin qui sembra tutto positivo: ma c’è un rovescio della medaglia: «Prima, qualora un mio brevetto fosse stato dichiarato nullo, lo sarebbe stato limitatamente alla “porzione” di brevetto relativa a un singolo Paese, rimanendo valido negli altri. Nel nuovo sistema, un’unica decisione renderebbe nullo il brevetto in tutti gli stati: nel caso di brevetti di particolare valore, gli effetti sarebbero disastrosi» spiega Mansani. Si tratta di una dinamica nota come “attacco centrale”.
È proprio con il timore di attacchi centrali che si spiega il dato sugli opt-out: le aziende non vogliono rischiare di mettere i loro asset più importanti nelle mani di una corte che non conoscono. Anche Laura Orlando, global co-head della practice IP di Herbert Smith Freehills, spiega che è l’imprevedibilità a spaventare i titolari di brevetto: «In assenza di precedenti su cui basarsi, nessuno sa quale approccio adotterà il Tub. Il rischio è che tutto il primo periodo sia caratterizzato da grandi difficoltà interpretative e giurisdizionali». Tuttavia, spiega la Orlando, «rimane l’esigenza di esserci, nel sistema. Fare opt-out su tutto e far finta che non ci sia non è possibile: occorre essere strategici e selezionare i brevetti che conviene azionare o sottoporre alla giurisdizione del Tub, anche per contribuire a forgiare la nuova giurisprudenza».
TEMPO DI PULIZIE
Si teme molto l’imprevedibilità delle decisioni del Tub. Ma il compito dei giudici è applicare le norme. Il punto è: quali norme? Esiste un corpus di norme brevettuali comuni ai vari stati aderenti al Tub? Giovanni Casucci, partner della practice IP dello studio legale e tributario di Ey, chiarisce lo scenario normativo: «Il merito delle controversie sarà…
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