L’equo compenso è legge… di nuovo

di nicola di molfetta

Lo scorso 12 aprile il Parlamento ha dato il via libera alla (nuova) normativa sull’equo compenso (proposta di legge C. 338-B). La notizia era molto attesa dalla comunità legale nazionale che da anni lamenta, tra le cause della progressiva contrazione della propria dinamica reddituale (si veda l’articolo precedente), l’arroganza dei cosiddetti clienti forti che, dopo l’abolizione dei minimi tariffari obbligatori (correva l’anno 2006), hanno avuto gioco facile nell’affidare incarichi e mandati a prezzi da saldo.

Chi ha memoria, però, ricorderà che il sistema normativo nazionale contava già su una norma a riguardo. Il principio, infatti, era stato introdotto nell’ordinamento con la legge di bilancio del 2017 e, di fatto, era rimasto lettera morta (o quasi). Perché? Si era rivelato di difficile attuazione.

Il testo nuovo si compone di 13 articoli e definisce «equo» il compenso che rispetta i parametri ministeriali. La novità rispetto alla normativa preesistente sta nel fatto che la nuova legge (oltre ad applicarsi anche a chi esercita le professioni non ordinistiche) vincolerà tutte le imprese che impiegano più di 50 persone o fatturano più di 10 milioni di euro oltre alle imprese bancarie e assicurative, alla pubblica amministrazione e alle società a partecipazione pubblica.
Di fatto, in base alla norma, ogni clausola contenuta in una lettera di incarico ovvero in un mandato, che preveda compensi per i professionisti inferiori ai parametri o che contenga previsioni che producono uno «squilibrio» nel rapporto tra cliente e avvocato, va considerata nulla.

Qualche esempio? Sarà sicuramente nulla la clausola che impone l’anticipo delle spese al professionista o che vieta a questi di chiedere acconti. Sarà nulla la clausola che lascia al cliente la possibilità di modificare unilateralmente le condizioni di un mandato. Sarà sicuramente nulla la clausola che permetterà al cliente di pretendere dall’avvocato prestazioni aggiuntive a titolo gratuito. E, ovviamente, saranno nulle tutte le clausole che fissano un compenso inferiore agli importi fissati dai parametri per la liquidazione dei compensi professionali.

La nuova legge (che abroga la disciplina vigente e si applica anche alle convenzioni già in corso), quindi, sembra introdurre qualcosa che somiglia molto a quelli che furono i minimi tariffari.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Come già detto, questo tentativo di disciplinare per legge i rapporti commerciali tra clienti e professionisti è già fallito una volta. E il rischio che, dopo i proclami e le rivendicazioni di merito, anche questa riedizione dell’equo compenso si esaurisca in un nulla di fatto è piuttosto elevato. Ci sono, infatti, alcune questioni che restano irrisolte.   La prima riguarda la retroattività della disposizione e l’interpretazione equa delle norme. …

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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