Susskind: «Gli anni ’20 saranno quelli della svolta nella tecnologia legale»

MAG ha incontrato il professore a margine dello Spring Forum di Baker McKenzie a Zurigo. «I sistemi prenderanno in carico compiti che in passato potevano svolgere solo gli umani»

di giuseppe salemme

Oxford, 1983. Richard Susskind (nella foto), un ventiduenne fresco di laurea in legge, inizia a scrivere la sua tesi di dottorato (Phd). Argomento: il rapporto tra diritto e intelligenza artificiale. Lo conseguirà tre anni dopo, nel 1986: Windows era ancora alla sua primissima versione, e solo cinque anni più tardi, nel 1991, il Cern di Ginevra avrebbe annunciato la nascita del World Wide Web.
«Ho passato la mia intera vita a pensare a questo argomento», esordisce Susskind in uno dei suoi ormai noti keynote speech, stavolta tenuto in occasione del Baker McKenzie Spring Forum, organizzato dalla law firm statunitense a Zurigo a inizio marzo, a cui MAG ha partecipato.
Il successo mainstream globale che molti prodotti basati sull’intelligenza artificiale hanno registrato negli ultimi mesi non deve aver sorpreso Susskind quanto ha sorpreso il resto mondo; ma sicuramente ha contribuito a dare forma e sostanza a quello che è il suo monito da anni. E cioè, in sintesi, che il progresso tecnologico stravolgerà il mercato delle professioni e il nostro stesso modo di concepirle, avvocatura in primis.
Non che uno come Susskind abbia bisogno di conferme. Professore a Oxford, Londra e Strathclyde, dal 1998 è consigliere strategico e tecnologico del Lord Chief Justice of England, e dal 2011 presiede l’advisory board dell’Oxford Internet Institute e la Society for Computers and Law. I suoi libri sono stati tradotti in più di 10 lingue, e nel 2000 è stato addirittura nominato Officer of the Order of the British Empire dalla Regina Elisabetta II in persona, a riconoscimento del contributo dato all’amministrazione della giustizia e alla tecnologia del diritto.
MAG l’aveva incrociato già in un paio di occasioni: nel giugno 2018 e nel febbraio 2020. Quest’ultimo incontro era nell’ambito della presentazione di Online courts and the future of justice, libro in cui presentava la sua visione di un mondo in cui il funzionamento della giustizia è digitalizzato, il ricorso alle corti fisiche è un’extrema ratio e l’intelligenza artificiale aiuta persone e aziende a rappresentare i loro interessi senza il bisogno di avvocati, garantendo un accesso alla giustizia economico e universale.
Il caso ha voluto che solo poche settimane dopo l’uscita del libro, il mondo si trovasse costretto dalla pandemia ad approntare la più estesa sperimentazione di “giustizia online” nella storia. Ed è proprio dai risultati di quest’esperienza che inizia l’ultima chiacchierata di MAG con Susskind, a margine del citato Spring Forum di Zurigo. L’autore sta presentando la terza edizione del suo bestseller del 2013 Tomorrow’s lawyers, in cui valuta positivamente l’esperienza della giustizia da remoto di epoca covid; a patto di non credere che le video-udienze siano il culmine del contributo che la tecnologia potrà dare alla trasformazione del sistema giudiziario.

«Nel marzo 2020 ho guidato il team che ha creato il sito web Remote Courts Worldwide: lo scopo era quello di monitorare il passaggio dei tribunali da fisici a remoti durante il periodo del covid», racconta Susskind a MAG. «Più di 170 Paesi hanno utilizzato i tribunali da remoto in un modo o nell’altro: qualcosa di inimmaginabile nel gennaio 2020. Giudici e avvocati vengono spesso criticati per la loro lentezza nell’adattarsi ai cambiamenti; oggi possiamo invece dire che quando hanno avuto bisogno di adattarsi, lo hanno fatto molto rapidamente. Ma non è stata una scelta: era l’unica cosa che potevano fare».

C’è stato un tratto comune a tutte queste esperienze?
La tecnica principale che è stata utilizzata è quella delle video-udienze: che a volte hanno funzionato molto bene, soprattutto nelle udienze procedurali o in quelle in cui non era necessario un contraddittorio. In generale, credo che abbiano funzionato in più casi e con standard più elevati di quanto ci saremmo aspettati. Credo anche che abbiano avuto un effetto polarizzante: alcuni sono molto favorevoli e pensano che d’ora in poi tutte le udienze dovrebbero essere fatte in questo modo; altri vogliono tornare alle modalità tradizionali non appena la pandemia sarà finita.

C’è qualche esempio di “tribunale online” di epoca covid particolarmente degno di nota per efficienza o per il successo riscosso, secondo lei?
Quello che si è visto in giro per il mondo non è ciò che io chiamo “tribunali online”, perché il funzionamento del processo è rimasto lo stesso. In Online courts and the future of justice, pubblicato a fine 2019, prima del covid, non parlavo di video-udienze (in realtà anche di quelle, ma di tipo diverso). La mia premessa nel libro è che i nostri tribunali hanno dei problemi: sono troppo lenti e costosi, incutono timore e sono troppo difficili da capire se non si è avvocati. La maggior parte di questi problemi permane con le udienze da remoto.

Quindi?
Quindi, nonostante alcuni commentatori vogliano dire che il futuro è arrivato, la verità è che le video-udienze esistono da decenni e che negli ultimi tre anni sono state solo il modo migliore per tenere in piedi il sistema giudiziario. L’esperienza ha avuto certamente l’effetto di aprire le menti delle persone, e qualche volta di fargli cambiare idea. Ma non è quello che intendo con “risoluzione delle dispute online” o “tribunali online”: è solo una versione in video dello stesso sistema giudiziario.

Quindi non crede che il covid abbia reso più vicino il momento in cui la sua visione potrà divenire realtà?
È più vicino perché oggi le persone sono molto più aperte alla tecnologia. Ma quello che prevedo è un assetto della giustizia molto diverso: regole di procedura semplificate, nessun bisogno di udienze, e casi di basso valore in cui le prove vengono presentate in formato elettronico, c’è una discussione online tra le parti e poi i giudici emettono le loro decisioni, al di fuori di un’aula di tribunale fisica.

Questa è la prima idea. La seconda?
La seconda idea, che io chiamo “extended courts”, implica che le persone utilizzino strumenti digitali per rappresentarsi autonomamente in giudizio. Questo per me è l’unico modo per risolvere il problema dell’accesso alla giustizia; ma richiede strumenti che aiutino le persone a comprendere la legge e le opzioni disponibili, nonché a organizzare le prove e le argomentazioni. Credo che il realizzarsi di questa visione, condivisa da molti in tutto il mondo, sia stato in qualche modo accelerato da covid.

E cosa pensa invece del recente boom dell’intelligenza artificiale generativa? ChatGpt è stato rilasciato lo scorso novembre e negli ultimi quattro mesi la maggior parte delle persone sembra essersi resa conto delle capacità di questa tecnologia…
Ho fatto il mio dottorato di ricerca sull’IA nel 1983 e praticamente da allora il mio tema ricorrente è che le macchine stanno diventando sempre più capaci…

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