Zambelli: l’indipendenza nel nome della professione

di nicola di molfetta

Cosa può spingere un avvocato, socio di punta di uno degli studi più quotati sul mercato, a decidere di voltare pagina e a rimettersi in gioco con un progetto professionale che sembra andare controcorrente, alla rincorsa di un modello professionale tradizionale, mentre tutta la narrazione del legal market contemporaneo parla di studi azienda, efficientismo e organizzazione?
Con questa curiosità, nei giorni scorsi, MAG è andato a far visita ad Angelo Zambelli. L’avvocato, 60 anni (a ottobre), è cresciuto alla scuola di Umberto Silvio Toffoletto, per poi passare in Carnelutti attraversando anche la stagione dell’alleanza con McDermott Will & Emery. È stato uno dei fondatori di LabLaw (2006) e successivamente ha guidato (2009) la practice di diritto del lavoro di Dewey & Leboeuf e Grimaldi (che di quell’esperienza americana, in Italia, è stato una prosecuzione senza soluzione di continuità). Questo fino a poco più di un mese fa, quando assieme a Barbara Grasselli e Alberto Testi ha deciso di cambiare ancora, dando vita a una nuova iniziativa nel nome della professione tradizionalmente intesa anche se con un afflato contemporaneo e internazionale. È nato così Zambelli & Partners. Di lunedì. Il 14 febbraio. «È stata la nostra dichiarazione d’amore a questa professione e in particolare al diritto del lavoro», racconta mentre mostra con gli occhi che gli brillano il giardino che circonda l’edificio di Via San Damiano in cui ha “trovato casa” per questa nuova iniziativa. Circa 350 metri quadrati in cui domina il colore bianco, mosso dal rosso alle pareti di una serie di stampe che richiamano l’iconografia più tradizionale del mondo del lavoro: le fabbriche, gli operai, le macchine.

«Dopo 35 anni di marciapiede forense – racconta – vivi un po’ di nostalgia per la tua identità professionale. E arrivi a un punto in cui decidi di tirare fuori dal cassetto un sogno che un tempo avevi deciso di mettere da parte». E così, novello Chatwin, l’avvocato si è sorpreso a domandarsi “Cosa ci faccio qui” e a immaginare la possibilità di dar vita a una nuova iniziativa, totalmente plasmata sulla sua visione attuale del mercato. «Non abbiamo fatto una scelta contro, ma una scelta per. Io e i miei soci (con cui l’avvocato collabora da oltre un quarto di secolo, ndr) ci siamo guardati negli occhi e ci siam detti: facciamolo». È la motivazione interna che conta, per l’avvocato. «Se questo è quello che senti e ti rende felice, mi sono detto, vai e non ti fermare. Il mercato respira la tua felicità». Il modello di business conta. Ma non è tutto.

Così è nato uno studio che per dimensioni e approccio ricorda le boutique più tradizionali. Ma nell’approccio e nella capacità competitiva è una realtà figlia delle esperienze e dei conseguimenti dei suoi fondatori nel corso degli anni.  

Il mercato come ha risposto? «Bene. Il primo riscontro è stato quello dei nostri collaboratori. Li abbiamo convocati un venerdì per comunicare la nostra scelta. Non ci siamo profusi in dettagli. Li abbiamo semplicemente invitati a prendersi un week end per decidere se venire con noi oppure no. Ci hanno seguiti tutti. E questo è stato un primo fondamentale attestato di credibilità dell’iniziativa», dice Zambelli. Poi sono arrivati anche i primi riscontri da parte degli osservatori. Per…

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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