Smart working, parola d’ordine: accordo
di giuseppe salemme
Partiamo dalla fine. Che in realtà fine non è stata. Il 18 marzo 2022 il governo Draghi ha inserito nella bozza del decreto Covid la proroga al 30 giugno 2022 del regime semplificato per l’attivazione dello smart working in azienda: una mossa a dir poco inaspettata. Avvisaglie non ce n’erano state (e c’è chi sostiene che persino il ministero del Lavoro sia stato colto alla sprovvista dalla novità): il meccanismo semplificato sarebbe dovuto terminare il 31 marzo, con la fine dello stato d’emergenza. Una scelta che sembrava in linea con l’exit strategy dalla legislazione pandemica adottata dal governo. Strategia rispetto alla quale, ad oggi, quello sul lavoro da remoto risulta essere l’unico parziale dietrofront.
LA PROROGA
Ad essere prorogata, in sostanza, è stata la possibilità per le aziende di attivare unilateralmente lo smart working per i propri dipendenti, con una semplice comunicazione agli organi preposti (tramite il portale istituzionale “Cliclavoro”) e dunque in assenza di un accordo con i lavoratori interessati. La ragione? I ben informati sostengono che sia da rintracciarsi proprio nelle difficoltà incontrate dalle aziende a concludere questi accordi integrativi, che torneranno ad ogni modo ad essere necessari a partire dal 30 giugno.
Ne è convinto anche Giampiero Falasca, socio del dipartimento labour e people strategist dello studio legale DLA Piper: «La stragrande maggioranza delle aziende si è resa conto all’ultimo momento delle difficoltà a implementare accordi per il lavoro da remoto su larga scala» spiega a MAG. La proroga, in questo senso, servirebbe a dare a questa categoria di imprese il tempo utile ad organizzarsi. Ma l’avvocato non è convinto che sia la strada giusta: «Il rischio è che la proroga favorisca il congelamento delle iniziative già in corso: temo l’impigrirsi di molte aziende, che continueranno ad adagiarsi sul regime semplificato per poi ritrovarsi a giugno nella stessa situazione di ora. Per poi, con l’estate alle porte, chiedere un’ennesima proroga».
La priorità per le aziende, secondo Falasca, dovrebbe essere staccarsi da quella che definisce «ossessione» per il dato normativo: «L’importante è sapere che prima o poi il regime semplificato terminerà e sarà necessario un accordo individuale. In quest’ottica, bisogna prendere lo strumento per quello che è: una forma di organizzazione del lavoro che richiede che alcuni elementi siano al loro posto. Tre su tutti: la possibilità di alternare lavoro in ufficio e lavoro da remoto; la fiducia verso i dipendenti, essenziale per evitare forme di controllo sgradevoli per tutti; e il lavoro per obiettivi piuttosto che per “pacchetti di ore”». Alla base di queste rilevazioni c’è però una verità inconfutabile: l’essere state costrette per due anni a concedere lo smart working ai propri dipendenti ha dato a molte aziende l’illusione di essere pronte ad implementarlo in pianta stabile, quando in realtà non è così: «Se riportassimo le lancette al 23 febbraio 2020, ricorderemmo che all’epoca ad interessarsi allo smart working erano in pochi, e a praticarlo effettivamente ancora meno» ammette Falasca.
LE FASI
E allora facciamolo, questo salto all’indietro. Con la testimonianza di Valeria Morosini, socia di Toffoletto De Luca Tamajo, che lavora al “prodotto smart working” da ben prima che questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa fosse disciplinata in Italia, e che scandisce le “fasi normative” che lo strumento ha vissuto nel nostro paese .
«Anche prima della legge che ha regolato lo smart working nel 2017, c’erano multinazionali che praticavano il lavoro da remoto» racconta Morosini. In questa fase “pre-normativa”, lo smart working «pur non essendo ovviamente illegale, presentava una serie di difficoltà tecniche relative a temi quali orari di lavoro, gestione ferie, permessi e altri aspetti pratici complessi”. Aspetti affrontati e risolti dalla legge del 2017, che però secondo l’avvocato «è stata inizialmente poco sfruttata. Mentre le aziende americane non aspettavano altro, le realtà italiane non si sono mostrate subito interessate e pronte a recepire la novità».
L’arrivo della pandemia coincide con l’avvento del regime semplificato: «Si è trattato di una semplificazione, ma anche di una forzatura. Perché è “lavoro agile disposto unilateralmente”, ma è chiaro che non si può parlare di lavoro agile se si è bloccati a casa: il lavoro agile presuppone l’alternanza prestazione all’interno e all’esterno dei locali aziendali. Quello emergenziale aveva alcuni elementi in …
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