La questione della comunicazione e l’affermazione di un’avvocatura utile
QUESTO ARTICOLO APRE IL NUOVO NUMERO DI MAG. CLICCA QUI PER IL DOWNLOAD DELLA TUA COPIA
All’alba del secondo decennio degli anni Duemila, mentre il settore è alle prese con le grandi trasformazioni che la professione sta vivendo, continuiamo a dibattere di comunicazione.
Esistono una comunicazione giusta e una comunicazione sbagliata da parte degli avvocati? Cosa è lecito? Cosa no?
Piovono domande. Perché comunicare? Perché essere trasparenti, farsi osservare, persino giudicare dal mercato e dai suoi operatori? Perché far sapere come si è organizzati nel proprio studio? Perché raccontare in giro quali sono le attività che si svolgono? E, poi, perché dare conto delle prestazioni economiche, di quanto costano i propri servizi e di come si trattano i collaboratori? Sono davvero così interessanti gli avvocati? Per chi lo sono?
Domande di principio. Domande legittime. Figlie di una cultura centenaria che ancora nutre i valori alla base delle norme di comportamento dell’avvocatura. Figlie della tradizione.
E cosa racconta questa tradizione? Come rappresenta l’avvocato e la sua funzione? Come una figura di mezzo che fa da tramite tra i cittadini bisognosi di assistenza giuridica e gli organi dello Stato preposti alla sua amministrazione. Un nobile intermediario silente. Riservato. Ministro del diritto, impegnato in un ruolo solenne. Distante. Che esige rispetto, fiducia (se non addirittura fede) e obbedienza. Un avvocato che è un avvocato. Senza distinzioni.
L’avvocatura, in questo dibattito, non parla con una sola voce (sebbene assistere a confronti tra soggetti impegnati in un reale contraddittorio non sia così facile). C’è una parte che auspica la cristallizzazione della rappresentazione ieratica della professione forense, nell’auspicio di proteggerla dagli effetti indesiderati della concorrenza così come dalle conseguenze del processo di ridefinizione della sua immagine ormai calata in un contesto di mercato e destinata a trasformarsi in una pratica di servizio dall’utilità misurabile.
Ma c’è un’altra componente, una componente crescente, che vuole capire. Che sente l’importanza dell’apertura alle nuove dinamiche che regolano domanda e offerta nel settore. Una fetta della popolazione forense che sente che comunicare non è qualcosa d’altro rispetto all’esercizio moderno della professione. Perché, in una realtà complessa e globalizzata, 245mila avvocati non possono essere tutti uguali. Indistinguibili. Perché le attività che un legale è chiamato a svolgere sono molteplici e richiedono competenze specifiche. Perché per stare sul mercato non basta superare un “concorso” o un esame. Perché la conoscenza del settore è precondizione indispensabile per costruire il proprio spazio e conquistare un posizionamento adeguato. Perché la specializzazione si dimostra con i fatti (e non solo con i titoli). Perché l’utilità percepita è l’unico fattore che “spiega” un professionista e la sua funzione.
L’articolo 10 della legge 247 del 2012 ha rappresentato un grande passo avanti rispetto alla questione della comunicazione, sdoganandone il concetto e la sua associabilità alla professione forense. Ma è stato concepito con un limite. Sembra parli solo di pubblicità. Come se tutto si potesse/dovesse risolvere nella mera pratica commerciale. Invece, se si vuole parlare di comunicazione e avvocati con onestà intellettuale, allora bisogna cambiare prospettiva cercando di dare una risposta a una domanda fondamentale. A una domanda che dovrebbe venire prima di tutto. A beneficio di chi deve essere svolta l’attività d’informazione? A quali interessi deve rispondere?
La comunicazione esterna, assieme all’informazione di settore, devono anzitutto rispondere all’interesse di chi compra servizi legali, di chi ha bisogno di un’assistenza competente e “adatta” alla soluzione di un problema. Il cittadino o l’impresa che ha bisogno di assistenza legale deve avere a sua disposizione elementi (informazioni) utili per conoscere il mercato e selezionare consapevolmente un legale di fiducia. L’interesse di chi comunica (in questo caso degli avvocati) verrà di conseguenza. Perché una maggiore intelligenza del mercato sarà foriera di iniziative, progetti e investimenti che a tendere renderanno più competitivi tutti gli operatori del settore, rafforzandone la capacità di attirare clienti e mandati.
L’avvocatura contemporanea è un prisma e la sua complessità va organizzata, gestita e comunicata. Non per assecondare la vanità del professionista di turno, ma per arricchire il bagaglio di conoscenza e comprensione del settore a beneficio del sistema oltre che di tutti coloro i quali vi operano (fornitori e utenti). In questo modo, come mi è già capitato di scrivere, i legali saranno sempre meno casta e sempre più classe professionale. Sempre meno corporazione e sempre più categoria produttiva. Rappresentanti di un’avvocatura nuova. Un’avvocatura utile.
QUESTO ARTICOLO APRE IL NUOVO NUMERO DI MAG. CLICCA QUI PER IL DOWNLOAD DELLA TUA COPIA