Tesoro, mi si è ristretto il patent box
di giuseppe salemme
Era il dicembre 2014 quando il governo Renzi introduceva nella legge di stabilità (n.190/2014) l’agevolazione fiscale nota come “patent box”, poi attuata da un decreto congiunto Mise-Mef (30 luglio 2015) e da una circolare dell’Agenzia delle Entrate (n.154278/2015).
Lo strumento era già diffuso in Europa: ben 12 Paesi l’avevano adottato in qualche forma a partire dal 2000. Figurava anche tra le best practice consigliate dall’Ocse in materia di fisco e proprietà intellettuale.
Nella sostanza, il patent box è un’agevolazione che consente alle imprese di escludere dalla tassazione una quota del reddito derivante dall’utilizzo degli asset IP aziendali: brevetti, marchi, disegni, modelli, oltre all’ampia categoria dei “know-how” aziendali.
Lo scopo dell’introduzione del patent box era doppio: da un lato favorire nuovi investimenti in ricerca e sviluppo nelle aziende italiane; dall’altro premiare e incentivare il mantenimento in Italia degli asset immateriali già esistenti. Proprio in quest’ultimo punto stava l’originalità della normativa italiana rispetto al modello Ocse, tradottasi in concreto nell’aggiunta dei marchi al novero di beni oggetto di agevolazione.

Una misura ambiziosa, che le aziende italiane hanno colto al balzo: ben 1200 società ne usufruirono nel 2017, numero salito a 1764 nel 2018, con un corrispettivo aumento dell’11,5% delle domande di brevetto tra il 2018 e il 2020.
Ma è forse proprio in questo grande successo che vanno rintracciate le ragioni per cui, con la fine di febbraio 2022, il patent box sarà abbandonato: a sostituirlo, una nuova super-deduzione del 110% sugli investimenti aziendali in ricerca e sviluppo.

DEATH BY SUCCESS
L’abbandono di una delle misure più apprezzate dalle aziende (nonché efficace rispetto ai propositi iniziali) potrebbe aver colto di sorpresa i più. Ma i professionisti che negli ultimi anni si sono più impegnati nell’assistenza alle aziende in relazione al patent box, sono concordi nel rilevare che si trattava in effetti di una misura “esigente” per lo Stato sotto diversi aspetti.
«Il nostro tessuto imprenditoriale italiano è ricco di realtà con marchi, asset intellettuali e know-how unici – spiega Luca Occhetta, presidente di Pirola Pennuto Zei & associati – e in quest’ottica i benefici per le imprese hanno causato oneri per le casse dello Stato superiori alle previsioni iniziali».
Ma non è solo una questione di finanze. Come aggiunge Daniele Caneva, partner di EY, si trattava di una procedura particolarmente demanding per le strutture dell’Agenzia delle entrate: «Gli uffici sono stati letteralmente invasi. Il patent box, per come strutturato inizialmente, si fondava sul ruling: un accordo pervenuto con il fisco a seguito della presentazione di una complessa documentazione e di una negoziazione. Ciò ha assorbito l’attività di interi dipartimenti dell’Agenzia». Gli fa eco Aurelio Massimiano, partner di Maisto e associati: «Ci sono istanze depositate nel 2015 e ancora pendenti: sia l’ufficio centrale grandi contribuenti che quelli regionali sono ingolfati. Ciò anche perché le semplificazioni intervenute successivamente sono state accolte freddamente dalle aziende».
Già, perché, nell’intento di arginare l’ondata di richieste di agevolazione abbattutasi dal 2015 sugli uffici del fisco, sono stati negli anni adottate due modifiche al suo impianto. La prima, sostanziale, è l’esclusione dei marchi dalla lista di beni passibili di entrare nel patent box. La seconda, formale, è la possibilità di autoliquidazione dell’agevolazione: «Alle aziende è stata data la possibilità di calcolare e detrarre in autonomia l’importo dell’agevolazione, saltando la fase di ruling» racconta Caneva. «Ad incentivare il ricorso a questa autoliquidazione c’era anche una penalty protection, che riparava le imprese dalle sanzioni in caso di errori. Ma i contribuenti non si sono fidati, e hanno continuato a preferire un accordo nero su bianco con l’Agenzia».

LA NUOVA SUPER-DEDUZIONE
Qualche ben informato sostiene che potrebbe non essere detta l’ultima parola: che per il patent box potrebbe esserci una salvezza insperata fuori tempo massimo. Ma qualsiasi colpo di teatro richiederà tempo: si tratterebbe quindi, nel caso, di una reintroduzione più che di una proroga. Questo perché la nuova legge di bilancio, invece, già provvede a sostituire l’agevolazione con una nuova super-deduzione del 110% sugli investimenti in ricerca e sviluppo delle aziende. Aurelio Massimiano ne spiega le differenze con il vecchio impianto: «Il patent box era un’agevolazione di tipo back-end: andava cioè a detassare il reddito derivante da un investimento in r&d. Ma ciò significa che non necessariamente incentiva gli investimenti ulteriori: un’azienda può avere un marchio o un brevetto registrato anni prima, ma comunque godere dell’agevolazione in funzione dell’apporto che quel bene ha sul reddito anche oggi». La nuova deduzione ha invece natura front-end, e quindi «va a detassare direttamente il costo sostenuto per l’investimento. E dunque se ne avvantaggia solo chi investe anno dopo anno». Un notevole cambio di prospettiva, insomma. Con alcuni temperamenti, come il sistema di recapture «tramite il quale sarà possibile “recuperare” e rendere oggetto dell’agevolazione le spese connesse a creazione e sviluppo di beni intangibili sostenute negli ultimi 8 anni», aggiunge Caneva.

L’assenza dei marchi, già espunti nel 2017 dalla lista dei dai beni immateriali “agevolabili” dal vecchio patent box, è confermata nella nuova super-deduzione. Che rimuove dal suo campo d’applicazione anche i know-how aziendali. I “processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico”, phrasing usato dalla vecchia normativa per indicare quei beni intellettuali non coperti da brevetto, costituiscono infatti il vero grande assente dal nuovo strumento secondo i professionisti. «Molte aziende italiane scelgono strategicamente di non brevettare, per evitare che le loro invenzioni diventino pubbliche. Con la nuova misura questi diritti IP non registrati non saranno computabili», spiega Massimiano. Per Occhetta si tratta di una scelta volta a ridurre la base di aziende che potranno usufruire dello strumento: «Lo stesso governo stimava che solo il 10% dei soggetti che potevano accedere al vecchio regime potrà accedere al nuovo».
In sostanza, la nuova misura permetterà alle aziende di più-che-raddoppiare gratuitamente gli investimenti in ricerca e sviluppo. Per qualche verso si tratta di una misura simile a quel superbonus 110% edilizio oggi nell’occhio del ciclone per gli innumerevoli abusi a cui ha dato adito. Ma i professionisti rassicurano: «La documentazione richiesta è incredibilmente stringente e analitica», spiega Occhetta. Inoltre, fa presente Caneva: «La verificabilità dei costi in materia di IP è molto più immediata che in campo edile».
LE REAZIONI
Qual è stata la reazione delle aziende all’abbandono del patent box? ….
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