Il successo di uno studio legale e la sindrome del Quirinale
L’epilogo delle vicende quirinalizie, con la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della repubblica, mi ha fatto pensare a quello che è senza dubbio il più grosso ostacolo che si presenta nella vita di uno studio legale organizzato: il passaggio del testimone da una leadership a un’altra. In particolare in occasione dell’uscita di scena dei soci fondatori.
Fateci caso, successo e successione sono due concetti solo apparentemente distinti. Entrambe le parole hanno la stessa radice. E chiunque conosca un po’ il mondo degli studi legali, sa che il successo di un’organizzazione, l’affermazione sul mercato di un progetto professionale, si concretizza (davvero) nel momento in cui l’iniziativa avviata da uno o alcuni avvocati riesce in quel delicato passaggio che definiamo istituzionalizzazione. Il quale, però, non si riduce alla semplice spersonalizzazione del progetto ovvero al suo affrancamento dalla figura carismatica dei suoi iniziatori e trascinatori storici. Ma anche, anzi, soprattutto, nella capacità di individuare una nuova leadership a cui l’associazione, il corpo professionale dello studio, sia disposto a riconoscere il ruolo di nuova guida.
Lo scorso gennaio, tra il 24 e il 28, tutti noi siamo stati spettatori delle capriole in cui si è prodotta la politica nostrana alla ricerca di un nuovo inquilino per il Quirinale. Il toto-nomi si è risolto alla fine con un risultato che per mesi avevamo considerato impossibile: il secondo mandato al presidente uscente. L’impossibilità era data dal fatto che il diretto interessato si era dichiarato più volte “indisponibile” al bis. Nonostante ciò, coloro i quali sono stati chiamati a svolgere il compito di grandi elettori, sono arrivati all’appuntamento del tutto impreparati. E alla fine, l’unica soluzione per uscire dall’impasse in cui la ricerca di un nome nuovo aveva precipitato la situazione, è stata prolungare il mandato del presidente uscente (e non più uscito). Questa tendenza alla procrastinazione ad libitum degli avvicendamenti al vertice, ovvero della ridefinizione della governance dello studio legale rappresenta uno dei talloni d’Achille della categoria. E spesso è causata da un errore di fondo: la convinzione che una figura carismatica debba essere necessariamente sostituita da un profilo altrettanto autorevole e inattaccabile. Peccato che la circostanza per cui un’organizzazione riesca a partorire dall’interno un giovane Napoleone, capace nel giro di pochi anni di passare dalla condizione di soldato semplice a quella d’imperatore, sia decisamente molto rara. Quel senso di unità che alcuni professionisti, grazie al carisma personale, riescono a infondere tra gli appartenenti all’associazione che si è costituita attorno alla loro figura è spesso destinato a disperdersi nel momento in cui l’individuazione del nuovo condottiero debba essere fatta tra una serie di profili degni ma allo stesso tempo considerati parimenti meritevoli. È difficile che uno studio legale, alla sua seconda generazione, esprima un indiscusso primus inter pares. Gli studi legali sono piuttosto organizzazioni di primus inter primos (si dirà così?), ovvero dove, a torto o a ragione, nessuno riesce ad accettare l’idea di essere meno primo dei suoi “pari grado”.
Ecco perché la governance di uno studio diventa essenziale a un certo momento del percorso di crescita e sviluppo. Essa, nelle plurime declinazioni in cui si potrà concretizzare, rappresenta l’unica vera garanzia della conservazione e dello sviluppo dell’avviamento di una struttura alle prese con il primo passaggio generazionale. Ed è responsabilità dei soci passare alla storia per essere stati in grado di stabilire le regole del gioco della successione più adatte a garantire un futuro all’organizzazione, piuttosto che essere ricordati per quelli che hanno mandato tutto, egoisticamente, a ramengo.
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