Nella culla del diritto è nata una generazione di manager legali
di nicola di molfetta
Grandi giuristi, pessimi gestori. Forse un tempo. Ma oggi, gli avvocati italiani sono sempre di più scelti e valorizzati all’interno delle organizzazioni internazionali di cui sono parte, per svolgere funzioni manageriali. Gli avvocati della Penisola sono diventati classe dirigente nell’universo delle law firm. E questa è una notizia!
Il caso più eclatante, come ricorderete, è quello di Charles Adams, eletto managing partner globale di Clifford Chance (si veda il profilo che ne facciamo in questo numero di MAG). Quello più recente, invece, riguarda Marcello Bragliani, appena nominato responsabile banking & finance per l’Europa continentale di Latham & Watkins.
L’elenco, ne siamo ben consci, potrebbe proseguire. E sarebbe anche lungo.
Ma quello che vediamo accadere ai c-level delle grandi organizzazioni internazionali non riguarda solo le law firm e i loro soci. È una cartina al tornasole che racconta un trend che coinvolge anche le grandi insegne di casa nostra.
Per anni ci siamo interrogati sulla figura dell’avvocato manager. Di un professionista che per mestiere diventasse gestore di un’organizzazione complessa, com’è uno studio legale oggi, mettendo da parte (pro tempore o in via definitiva) la propria funzione di tecnico e persona d’azione, ovvero cercasse di combinare il duplice ruolo cercando di raggiungere un equilibrio non sempre facile da trovare. Anche perché, almeno fino a oggi, non c’è mai stata una scuola per avvocati manager. Nessuno ha mai pensato alla necessità di preparare un professionista all’organizzazione. E questo perché, tradizionalmente e fino a tempi recenti, c’è sempre stata una visione padronale dello studio legale dove non c’era spazio per i manager. Qui c’erano i padroni. Per ragionare di gestione e per scegliere i più adatti al suo esercizio, lo studio legale ha dovuto smettere di essere concepito come cosa di pochi e cominciare a essere visto come istituzione.
Nell’istituzione, il lavoro dei singoli ha cominciato a non essere più considerato solo in funzione del vantaggio personale che è in grado di produrre, bensì a essere visto in funzione della utilità collettiva che è in grado di realizzare: a beneficio dell’associazione o della società di turno.
La maturazione della prima generazione di avvocati manager battente bandiera italiana coincide con la trasformazione delle care vecchie botteghe legali del passato in imprese o in qualcosa che ci va molto vicino.
Nel variegato universo dell’avvocatura nazionale queste figure saranno sempre più presenti. E non si tratterà certo di una presenza esclusiva nei grandi studi organizzati. La complessità va governata. E le strutture che radunano una pluralità di professionisti (siano centinaia o una decina) hanno egualmente bisogno di dare forma e ordine al proprio assetto, affinché nel gruppo si realizzino sinergie e la semplice numerosità si traduca in un vero vantaggio competitivo.
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