ABOGADOS DI NOME E AVVOCATI DI FATTO
Vamos abogados. Nella sentenza depositata il17 luglio (cause C58/13 e C-59/13), la Corte di Giustizia europea ha pronunciato la parola definitiva sulla questione degli avvocati stabiliti e sul diritto alla libera circolazione in Europa dei professionisti. Un pronunciamento più che scontato se si considera la ratio della normativa comunitaria in materia. Un giovane giurista che acquisisca il titolo professionale in Spagna e poi venga a esercitare in Italia non può essere fermato al confine degli Albi nazionali. Deve essere ammesso e iscritto nell'apposito elenco come avvocato stabilito e con il titolo acquisito nel paese d'origine. Quindi: abogado, avocat, avocat à la cour, attorney at law, sollicitor, barrister, rechtsanwalt. Una babele di titoli, dunque, potrebbe presto invadere le strade, le targhe e le carte intestate nelle nostre città e negli studi legali.
«Ha preso un appuntamento con l'abogado? NO? Ahi ahi ahi ahiiii». Scene del genere potrebbero essere l'unico esito della soluzione che la tecnocrazia europea è riuscita a dare a un problema che, forse andava affrontato con più pragmatismo.
C'è un fenomeno. E il Cnf lo ha descritto chiaramente a febbraio scorso: tanti avvocati italiani puntano a ottenere il titolo in Spagna con il solo scopo di eludere la normativa italiana sull'accesso alla professione. Se il 92% degli avvocati stabiliti presenti negli Albi è di nazionalità italiana, forse, la tesi del Consiglio nazionale (ovvero che tanti abogados hanno preso il titolo in Spagna solo perché lì è più facile) ha un fondamento di verità.
Il Cnf aveva deciso di chiedere alla Corte di giustizia se le autorità competenti di uno Stato membro potessero rifiutare, per abuso del diritto, l'iscrizione nell'albo degli avvocati dei cittadini di tale Stato che, dopo aver conseguito una laurea nel proprio Paese, si fossero recati in un altro Stato membro per acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e successivamente avessero fatto ritorno in patria per esercitare la professione con il titolo ottenuto all'estero. La risposta è stata «no».
Anche se uno Stato membro ha il diritto di adottare ogni misura necessaria per impedire l'elusione abusiva delle normative nazionali da parte dei suoi cittadini, la pronuncia sottolinea che, in un mercato unico, la possibilità, per i cittadini dell'Unione, di scegliere lo Stato nel quale desiderano acquisire il loro titolo e quello in cui esercitare la loro professione è collegata con l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati. Mettere in discussione i Trattati solo perché c'è qualche furbo in Italia, è un po' esagerato.
E allora, ecco l'uovo di Colombo. Nella sentenza, la Corte ricorda che, per facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello di conseguimento della qualifica professionale, la direttiva sullo stabilimento degli avvocati istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli degli avvocati migranti che vogliono esercitare la professione con il titolo di origine. Il via libera comporta sì l'esercizio della professione di avvocato in Italia, ma anche la necessaria indicazione del titolo ottenuto nella lingua ufficiale del Paese di conseguimento. L'avvocato spagnolo, stabilito in italia dovrà farsi chiamare obbligatoriamente abogado. In quanti lo faranno davvero? E' facile predirlo.
Forse a questo punto il Cnf e il ministero della Giustizia potranno seriamente prendere in considerazione l'opportunità di una riforma dell'esame di Stato italiano che lo renda più equo e competitivo rispetto alle formule di selezione della classe professionale studiate all'estero.