ALIBABA FA RICCHI I LEGALI MA IN ITALIA LE IPO SONO IN SALDO
di nicola di molfetta
Una parcella da 15,775 milioni di dollari, che in euro fa 12,2 milioni e spiccioli. Pensare che si sta parlando della “notula” per un’Ipo, ossia un’operazione di quotazione in Borsa. Ovviamente, non siamo in Italia. Ma a Wall Street. Qui, a inizio settembre, il gigante cinese dell’e-commerce Alibaba ha avviato la procedura per lo sbarco sul listino a stelle e strisce con l’obiettivo di raccogliere 21 miliardi di dollari. L’offerta è stata coperta in due giorni, tanto che la società ha pensato di alzare ulteriormente la forchetta del prezzo di collocamento portandola fino a 68 dollari. E ha abbattuto il precedente record (18 miliardi, sempre di verdoni) detenuto da Facebook.
Al di là della cifra da capogiro pagata agli avvocati di Simpson Thacher e Sullivan & Cromwell, la notizia, letta da questa parte dell’Atlantico, lascia stupefatti soprattutto per una ragione: da anni, ormai, in Italia ci stanno dicendo che le Ipo sono deal a basso valore aggiunto e che il costo dell’assistenza legale in questa tipologia di operazioni non può ormai superare i 500mila euro (fatte salve rare eccezioni, talmente rare che non si riesce a citarne alcuna).
Perché, allora, Alibaba ha messo sul piatto una somma di questo genere per i suoi legali? Una cifra che, per dirla tutta, non è nemmeno la più alta che si sia vista di recente a lower Manhattan se si considerano i 33 milioni pagati per l’Ipo dell’Empire State building. Ma soprattutto come mai in Italia, questo tipo di operazioni, sono considerate poco più che un rituale burocratico che non può giustificare compensi a sei zeri?
Certo, si dirà, se si mette a confronto il rapporto percentuale tra l’ammontare della parcella Alibaba con il valore della quotazione e quello della parcella di un’Ipo made in Italy rispetto al valore della stessa, si noterà che si tratta di un moltiplicatore quantomeno simile. ?Vediamo. ?I 15,7 milioni pagati da Alibaba sono circa lo 0,075% della raccolta ipotizzata con l’Ipo. Mentre, se si considerano i 160mila euro pagati da Cassa Depositi e Prestiti per la quotazione di Fincantieri, si riscontrerà che si tratta dello 0,013%. Arrotondando per eccesso, il rapporto tra i moltiplicatori è di uno a cinque.
Un’eccezione? In effetti, la parcella legale pagata da Facebook per la sua quotazione è stata di ben altre dimensioni. I 2,6 milioni di dollari di notula risultano, infatti, pari allo 0,016% dei 16 miliardi di dollari messi in conto per la raccolta del listing del Social Network. Attenzione però a non cadere nell’errore di mischiare pere e mele.
Se si ragiona tenendo in considerazione solo questi moltiplicatori si rischia di perdere di mira un dato fondamentale: il valore delle operazioni. Insomma, se gli avvocati americani di Simpson Thacher e Sullivan & Cromwell accettano di farsi pagare lo 0,075% del valore del deal è solo perché si sta parlando di un’operazione ultra miliardaria.
Invece, è possibile pensare, che questo radicale affossamento del valore riconosciuto in Italia alla consulenza legale per le Ipo sia l’effetto ultimo della guerra delle tariffe cominciata dalle law firm d’affari per evitare di perdere clientela in tempi di crisi. ?Come abbiamo scritto più volte in passato, una politica di ribassi senza freni, alla lunga, avrebbe portato a un livellamento verso il basso del costo accettato per i servizi legali da parte dei clienti. Ed è questo quello che si sta verificando.
Purtroppo, l’unico benchmark a disposizione è quello delle società pubbliche che, per dovere di trasparenza, fanno sapere a quanto appaltano determinati servizi. Ma ci sembra lecito pensare che per i privati valgano le stesse cifre, ovvero le stesse proporzioni. Purtroppo, in questo caso, “l’industria legale” è per buona parte responsabile dell’abbassamento dei compensi che il mercato è disposto a riconoscerle in questa tipologia di operazioni. Invertire la rotta, a questo punto, è molto difficile. «Servirebbe un’astensione di massa dal prossimo beauty contest», suggerisce un avvocato, socio di un importante insegna del settore. Ma forse sarebbe sufficiente imparare a dare il prezzo “giusto” ai propri servizi.
nicola.dimolfetta@legalcommunity.it
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