Il Ddl concorrenza non sia solo un argomento di conversazione
di nicola di molfetta
Da qualche giorno, abbiamo detto addio al 2015. E come temevamo, neanche quest’anno (ci spiace non esser stati smentiti dai fatti) il Parlamento è riuscito ad approvare la prima legge sulla concorrenza accumulando un ritardo di ben quattro anni rispetto agli obblighi imposti dalla normativa 99 del 2009.
Certo, tra revisioni, limature e ammorbidimenti vari, non è che il testo in lavorazione sia qualcosa che appaia destinato a cambiare le sorti della professione forense. Detto questo, però, ci sembra davvero grave che Camera e Senato non riescano a scandire il tempo delle riforme suggerite dall’autorità per la concorrenza con la cadenza stabilita dalla legge.
La verità è che questo testo, che per quello che interessa il nostro mercato di riferimento impatterebbe sulle modalità di esercizio della professione forense introducendo non solo la forma societaria ma anche l’opportunità di avere un socio di capitale, non piace e spaventa molti attori del mercato.
Gli effetti dell’inserimento di variabili indipendenti nelle consolidate dinamiche che sono alla base dell’attività di ogni avvocato italiano sono del tutto imponderabili. Potrebbero essere deleteri, come sostengono i detrattori della riforma, così come potrebbero essere un toccasana per una categoria che, negli ultimi anni, si è impoverita, sfaldata e parcellizzata in una miriade di soggetti che con grande difficoltà riescono a stare sul mercato.
In Europa dicono che l’attività forense è paragonabile in tutto e per tutto all’attività d’impresa e pertanto raccomandano a ciascun Paese dell’Unione di far sì che sia garantita anche ai professionisti la possibilità di partecipare ai bandi che assegnano risorse comunitarie a chi esercita determinate tipologie di attività economiche (un principio che la Legge di Stabilità per il 2016 ha recepito).
È chiaro, quindi, che remare contro e cercare di impedire che determinate innovazioni siano introdotte anche nel nostro sistema giuridico, non solo risulta sostanzialmente antistorico, ma rischia di rivelarsi chiaramente controproducente.
La strategia dei paraocchi, il rifiuto del cambiamento in quanto tale, non porta a nulla. Anche perché il mercato cambia e si evolve marciando a una velocità doppia se non tripla rispetto a quella che in alcuni casi si pretende di imporre con i regolamenti. Si pensi a quanto accaduto con i nomi degli studi legali o quanto avvenuto in tema di multidisciplinarietà, o ancora a quanto è stato fatto a proposito delle specializzazioni. Ogni volta che il Legislatore è intervenuto per dare “semaforo verde”, di fatto, si è limitato solo a dare una cornice normativa a cambiamenti che già erano avvenuti ed erano entrati a far parte della quotidianità di migliaia di professionisti.
Molte delle innovazioni che il Ddl concorrenza, una volta diventato legge, potrebbe introdurre nel nostro sistema scorrono già nelle vene dell’avvocatura reale. E sono già state fatte proprie da alcuni soggetti che hanno cominciato a offrire servizi di assistenza legale senza essere studi legali in senso classico ma mettendo in rete una serie di professionisti a cui affidare una serie di servizi: si pensi alle assicurazioni, o alle associazioni di consumatori o ancora ad alcune catene della grande distribuzione.
Il Ddl concorrenza è stato, finora, un ottimo argomento per convegni e dibattiti. Un testo per esercitare capacità retorica e misurare l’influenza politica di questa o quell’altra categoria. Forse è ora che diventi legge. Anche perché l’anno prossimo il governo Renzi dovrà (anche se forse dovremmo usare il condizionale) già farne un’altro!