DEDOLA: «SIAMO COME IL CICERONE DELLE VERRINE»
«Capire l’economia per capire il reato». A parlare è Giovanni Maria Dedola (nella foto), oltre quarant’anni di storia legale alle spalle lungo un percorso dove il processo penale ha espresso, scandendolo, il segno dei tempi. Quarant’anni di processi, dai rapimenti a scopo estorsivo, che funestavano Milano degli anni settanta, che Dedola contribuì significativamente ad abbattere rendendo il reato non pagante, in difesa delle famiglie colpite dal più odioso dei reati, al crac del Banco Ambrosiano, passando per l’omicidio Ambrosoli, che lo videro all’accusa (famoso, in quest’ultimo, il serrato interrogatorio cui sottopose Enrico Cuccia in dibattimento) sino alla epocale stagione di Tangentopoli degli anni ’90, all’omicidio di Maurizio Gucci, arrivando ai tempi recenti ed all’attualità dei processi per reati finanziari (le scalate bancarie Antonveneta e BNL) ed alla drammatica complessità di un mondo industriale e finanziario sempre più involuto ed espressivo della corruzione endemica nazionale ed internazionale (vicenda Expo ancora oggetto di indagine) nonché di un perverso corto circuito tra le diverse ed incompatibili velocità con cui marciano tali realtà ed il sistema legislativo, giudiziario e di controllo costretto ad inseguire ciò che dovrebbe prevedere, normativamente ipotizzare, giuridicamente configurare e giudiziariamente governare.
Com’è cambiato il penale dell’economia?
Mi occupo di diritto penale dell’economia inteso come quello che disciplina la prevenzione e la repressione dei reati economici, quelli, cioè, espressivi della patologia della produzione industriale. Sino alla metà del secolo scorso era una dimensione ancora governabile.
Ovvero?
L’incisione dell’intervento penale nel mondo economico aveva la precisione chirurgica mirata e circoscritta al male da estirpare.
E poi cosa è successo?
L’esplosione esponenziale del mondo industriale, la commistione malefica con il mondo finanziario, l’internazionalizzazione dei mercati, sino alla globalizzazione di oggi, con un percorso caratterizzato dalla velocità impressionante dei mutamenti e modulazioni, soprattutto degli assetti finanziari, ha portato pressoché al collasso del rapporto fra la normativa, l’applicazione della stessa e la materia da governare. La seconda troppo veloce per la prima, costretta ad inseguire, legiferando in modo schizofrenico e compulsivo ciò che è ormai troppo avanzato e complesso.
Possiamo dire che tutto ciò è la risultante di una crisi globale ed epocale?
Certamente ma aggiungerei che la crisi è solo un contesto: la situazione del nostro Paese è più grave in quanto pachidermicamente rallentata, pressoché bloccata e, oserei dire, funzionale a quel contesto. Da noi si ripete quotidianamente che occorre cambiare ma con la malcelata finalità di lasciare le cose come stanno.
Cosa vuole dire?
Voglio dire che oggi, dal nostro osservatorio di penalisti, sul campo del penale dei numeri, vediamo che l’intervento repressivo del reato economico è del tutto isolato dal contesto che lo ha generato per cui si pone in un momento in cui o è già in metastasi o la sua rimozione comporta un prezzo altissimo in termini di sacrificio di una realtà produttiva che, invece, dovrebbe essere salvaguardata.
Ma il reato andrà pur perseguito?
Certo, non dico che il reato non si debba perseguire. Dico che, nel perseguirlo occorre tenere presente gli enormi e plurimi interessi che ruotano attorno ad una vicenda economica.
Ad esempio?
Il contesto societario ed imprenditoriale ove il reato viene scoperto comporta, il più delle volte, una serie di interventi collaterali all’azione della Magistratura, da parte degli organi di controllo (che, però, avrebbero dovuto controllare prima!) che pongono in crisi la potenzialità produttiva e, con questa, non solo la realtà economica in essere ma anche la sorte dei lavoratori.
Sia più esplicito…
I reati di cui parliamo hanno sempre natura e movente economico. Questi si alimentano, sino all’esplosione patologica, lungo un percorso fisiologico accidentato da un complesso normativo incrostato, vecchio, involuto e spesso incomprensibile, lontano mille miglia dalla velocità con cui evolve il mondo produttivo. Che, dico, consapevole dell’azzardo, rischia addirittura di favorire il reato, perché incompatibile con la necessità di competere.
Una realtà che cambia il ruolo del penalista…
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