Lavorare a New York: ci sono riuscita così
*in collaborazione con lexindex
Camilla Cocuzza (nella foto) viene da una famiglia di avvocati. Papà avvocato di libero foro. Mamma che ha lavorato come legale interno per il Mediocredito Lombardo, ora Banca Intesa San Paolo. E sorella che si è laureata in giurisprudenza da un anno. «Insomma nessuno di noi è “scampato” al destino di codici e sentenze», racconta, «ma personalmente non mi sono mai sentita forzata a intraprendere questa strada». Da un paio d’anni, Camilla lavora a New York in uno studio legale boutique. Il traguardo è stato importante dal momento che, come racconta in questa intervista, riuscire a trovare lavoro nella Grande Mela non è assolutamente facile per un avvocato straniero.
New York come l’hai incontrata?
In nessun luogo mi sono sentita “adatta” e istintivamente “ambientata” come a New York, dove sono arrivata per la prima volta nel 2006, durante l’estate del secondo anno di università, in occasione del Campus Abroad. Di quel caldissimo luglio, oltre alle lezioni alla New York University (NYU), a rischio febbre da aria condizionata, ricordo di aver camminato tantissimo ed esser rimasta letteralmente folgorata dalla città.
E non volevi più andar via…
Volevo trovare un modo per viverci più a lungo, abbastanza da non contare i giorni. Trasferirmi allora non era un piano, ma sicuramente un desiderio. La spinta alla decisione vera è arrivata mentre lavoravo come praticante a Milano da Cleary Gottlieb Steen & Hamilton.
Perché?
Da Cleary Gottlieb è un elemento di uguaglianza culturale per gli avvocati fare un LL.M. (Master of Laws) all’estero, principalmente negli Stati Uniti. Così anche io, pian piano, ho maturato l’idea di partire, ponendomi prima l’obiettivo di superare l’esame di avvocato in Italia. Penso di esser stata fortunata a riuscire a incastrare le due cose al primo colpo.
L’LL.M. cosa ha significato per te?
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