Di Tanno e il valore della stabilità

Di Tanno balla da solo. Almeno per il momento. E la crescita? La coltiva soprattutto dall’interno. Nelle scorse settimane, la boutique specializzata nella fiscalità d’impresa è tornata a fare soci (si veda il numero 53 di MAG). Domenico Ponticelli è stato nominato equity partner confermando l’intento di valorizzare le proprie risorse già dimostrato un anno fa con la nomina a socio di Paolo Serva. ?In più, Di Tanno ha anche investito in cinque nuovi professionisti, tra cui l’of counsel Andrea Tonon proveniente da Dla Piper, con il quale ha rafforzato la propria offerta in materia regolamentare e di assistenza ai fondi d’investimento divenuta una delle attività in maggiore espansione anche grazie al lavoro svolto in questi anni da soci come Fabio Brunelli, Marco Carbonara e Ottavia Alfano.

Professor Di Tanno, a che punto è il processo di sviluppo dello studio?
Siamo cauti. E la cautela la impone il Paese che non sta crescendo del 30% e nemmeno del 7%. Il Paese è stabile, dopo anni di contrazione del Pil, la crescita si è limitata di uno zero virgola, e quest’anno, se va bene, sarà dell’1%.

Il fattore Italia è un fattore critico: serve internazionalizzare?
Noi siamo palesemente un operatore nazionale. Anzitutto perché il diritto tributario è nazionale.

E i concorrenti che negli anni passati hanno aperto all’estero?
Anche i concorrenti che hanno aperto una presenza a Londra o Lugano o dove che sia, in realtà hanno dei punti d’appoggio all’estero. Servono a servire meglio ciò che avviene in Italia: sia nel senso di italiani che vogliono investire all’estero sia di stranieri che vogliono investire in Italia.

Quindi?
La normativa alla quale noi facciamo riferimento e le competenze professionali che spendiamo nell’esercizio della nostra attività, sono competenze che girano intorno al diritto tributario italiano. Nessuno di noi può avere la pretesa di fare diritto tributario inglese o svizzero o americano.

Chi ha uffici a Lugano, però, con la voluntary disclosure avrà lavorato tanto. Voi quanta ne avete fatta?
Noi ne abbiamo fatta poca, perché la “specialità della casa” non sono le persone fisiche bensì le imprese. Siamo uno studio di diritto tributario d’impresa. Ci siamo occupati di un numero ridotto di voluntary disclosure, anche se particolarmente complicate. Ci siamo occupati di imprese il cui titolare aveva attività all’estero, attività coerenti con il suo core business.

Che impatto hanno avuto sui vostri conti?
Non è stato un impatto particolarmente significativo. Direi del 10% circa. Ma posso anche dire che non abbiamo costituito una task force ad hoc. Non abbiamo dovuto sconvolgere lo studio per correre dietro alla voluntary disclosure.

Perché? Non era un’occasione da sfruttare?
Siamo uno studio che fa della stabilità il proprio valore principale. Ci occupiamo di investitori importanti, siamo chiamati in ballo per problematiche particolarmente sofisticate, non ci interessa fare di tutto per tutti. Queste sono le nostre scelte.

A proposito di stabilità, tutti gli scenari di fusioni e alleanze che si ipotizzavano due anni fa dopo le uscite di alcuni vostri soci, sono tramontati?
La verità è che le cose vanno bene anche così. Quando ci si fonde con altri e si mette in discussione la propria identità, il progetto deve essere caratterizzato da una forte coerenza e deve essere un progetto con ragionevoli probabilità di successo.

Le opportunità che le si sono presentate non l’hanno convinta?
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCA QUI E SCARICA GRATIS LA TUA COPIA DI MAG

SHARE