Avvocati giuslavoristi, fatturati a rischio con il jobs act
La disoccupazione che scende dello 0,1%, dal 12,7% di dicembre al 12,6% di gennaio (11mila posti di lavoro in più) e un saldo occupazionale positivo di oltre 8.300 unità: a fronte di 209.680 lavoratori in ingresso ci dovrebbero essere, quest’anno, 201.300 lavoratori in uscita. I dati, rispettivamente di Istat e Unioncamere, sembrano voler testimoniare una timida ripresa dell’economia del Paese, un segnale del raggiungimento del cosiddetto “punto di flesso”: quel momento in cui, in un grafico, la curva cambia e da concava diventa convessa o viceversa. Tradotto: la fine di una grande e lunga crisi e l’inizio della ripresa. Effetto Jobs Act? È ancora presto per dirlo, considerando che i decreti legislativi sono appena stati firmati dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quello che è certo è che i professionisti del mondo del lavoro, studi legali compresi, si stanno già preparando all’entrata in vigore della norma, destinata a modificare profondamente il rapporto tra i datori di lavoro e dipendenti. Ma come e in che misura il decreto influenzerà l’attività dei giuslavoristi? Mag by legalcommunity.it, con un’indagine lampo, lo ha chiesto a 40 fra i più autorevoli studi legali (tra specialisti e multidisciplinari) la maggioranza dei quali ha evidenziato come, dopo l’introduzione della norma, il contenzioso sarà destinato a ridursi. E con esso verrà meno la figura del vecchio “giuslavorista da tribunale”. Per fare spazio a un nuovo profilo professionale con competenze più specifiche e strategiche.
L’IMPATTO SUL FATTURATO
Un gioco a somma zero, dunque? In prima battuta sembrerebbe di sì, considerando che se da un lato diminuisce il contenzioso, dall’altro la consulenza stragiudiziale è destinata ad aumentare. Tuttavia la riduzione del lavoro in tribunale potrebbe, secondo alcuni, portare a un conseguente calo del fatturato (il mercato vale circa 160 milioni di euro secondo le stime dell’ultimo report labour del Centro ricerche di legalcommunity.it). ?Lo sostiene ad esempio Francesco D’Amora, socio di Quorum, secondo il quale «si aprirà una fase di nuove aggregazioni. La riduzione del fatturato derivante dalla probabile riduzione del contenzioso provocherà la necessità di aggregazione di boutiques di 2/3 professionisti aperte negli ultimi e dedite soprattutto al contenzioso». Gli fa eco Mario Scofferi, dello studio Giglio & Scofferi: «Il lavoro e soprattutto il fatturato, subirà un calo significativo». Secondo il giuslavorista, infatti, «la practice labour è storicamente molto legata al contenzioso. Il famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori e, più in generale, un ordinamento giuslavoristico pesantemente sbilanciato a favore del lavoratore, hanno contribuito, da un lato, a stimolare la litigiosità dei lavoratori che ritenevano di avere subito un torto e, dall’altro, a incrementare il valore economico delle tematiche sottoposte ai legali». Di conseguenza, prosegue, «ferma la specializzazione, per cercare di contenere il più possibile il calo di fatturato ritengo che gli studi dovranno attrezzarsi per coprire aree che sino ad oggi sono state, se non trascurate, quantomeno ritenute secondarie rispetto ai “classici” ambiti giuslavoristici. Penso a un ampliamento delle competenze e dei servizi in materia previdenziale (soprattutto per quanto attiene alla previdenza complementare) o lavoro pubblico, per fare degli esempi». Non è un caso, quindi, che di recente si siano viste nascere alleanze tra lavoristi ed esperti di Ip o penalisti. Probabilmente proprio per intercettare altre sacche di domanda ancora non sfruttate.
PIÙ PARIERISTICA
?Ad ogni modo, stando ai risultati dell’indagine, che ha visto la partecipazione attiva di 25 studi legali, il 65% degli interpellati crede che il lavoro, almeno nel breve-medio termine, aumenterà, anche se in forme e modalità diverse rispetto al passato. Saranno privilegiate attività come pareristica e consulenza specifica, a discapito del contenzioso. Come evidenzia Claudio Morpurgo, di Morpurgo e Associati, «mutamenti del contesto normativo così incisivi portano sempre con sé grande incertezza interpretativa e applicativa, rendendo necessario per le aziende il supporto di consulenti specializzati». In particolare, aggiunge Rita Santaniello, socia di Roedl & Partner, «il carattere disomogeneo dei vari provvedimenti di cui si compone il Jobs Act imporrà una verifica particolarmente attenta delle norme applicabili, ad esempio nella regolarizzazione delle consulenze a partite Iva e a progetto, cui non potrà che seguire una necessaria interazione con il legale». Inoltre, sottolinea Cristina Mazzamauro di Tonucci & Partners, «il Jobs Act ha introdotto un sistema di regole nuovo, senza tuttavia abolire il vecchio regime per chi è già stabilmente occupato», di conseguenza, «il lavorista dovrà abituarsi a un doppio binario di regole, non solo sostanziali ma anche processuali». Inoltre, il lavoro non dovrebbe diminuire sul piano quantitavito anche perché, come sottolineano i partner del dipartimento Labour di Legance, «la materia dei licenziamenti individuali, per quanto molto sensibile per i suoi impatti, non riveste certamente il carattere della prevalenza nell’attività dei giuslavoristi». I giudizi pendenti in questo settore (al 2013) sono 264.244 nei Tribunali e 63.631 nelle Corti d’appello. Ma non tutti ostentano ottimismo. Il 23% pensa che l’attività possa diminuire per la maggiore semplificazione normativa introdotta dalla riforma. «Con il Jobs Act – sostiene Livio Bossotto dello studio Allen & Overy – l’alea e l’incertezza connesse all’illegittimità del licenziamento scompaiono portando con sé buona parte dell’attività negoziale oggi svolta dal giuslavorista». Inoltre la semplificazione «potrebbe favorire forme di assistenza, ad esempio quella del consulente del lavoro, alternative all’avvocato».
MA AULE PIÙ VUOTE?…
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