I TRE FATTORI CHE RENDONO L’ITALIA UN MERCATO APERTO

di nicola di molfetta

Ogni crisi crea grandi rivolgimenti e presenta nuove opportunità. Scenari da lieto fine in 8 millimetri o frasi di circostanza da pronunciare per farsi coraggio alla fine dell’ottavo anno di crisi consecutiva condita da venti di recessione e un pizzico di deflazione? Ci sembra il caso di dire di no. Soprattutto perché mai come in questo 2014, sulla scena del mercato dei servizi legali si assiste all’emersione e affermazione di nuovi player non solo tra i possibili protagonisti del comparto ma tra i candidati alla conquista della leadership nel settore. La recente nascita di Gattai Minoli Agostinelli è stato solo l’ennesimo evento paradigmatico di questo processo. La costruzione di una boutique che punta a un posizionamento da primatista sulla scena della consulenza legale d’affari racconta molto chiaramente il modo in cui questi anni hanno stravolto l’avvocatura d’affari, sovvertendo l’ordine precostituito e demolendo i tabù del recente passato. Al punto che del mercato, così come l’abbiamo conosciuto nel primo decennio del XXI secolo, è già possibile certificare la dissoluzione.

Sono almeno tre i fattori che è possibile isolare per spiegare come mai oggi in Italia si possa parlare di mercato aperto.

Il primo è rappresentato dalla “caduta degli dei”. La crisi ha piegato le gambe a numerose strutture, rendendo evidenti numerosi casi di cattiva gestione. Costi fuori controllo, carriere basate non sul merito ma sull’anzianità o sulle relazioni, assenza di strategia nella gestione dei lateral hire, scarsa attenzione alla promozione della cultura associativa: sono questi i peccati più comuni commessi negli anni del boom e della crescita, quando le cose andavano bene sempre e comunque. ?Gli studi nati durante la crisi, in quasi tutti i casi sono partiti ben consci degli errori del passato e ne hanno tenuto conto nel loro processo di costituzione.

Il secondo è costituito dal passaggio generazionale. Questo è un fattore che pesa sui destini di numerose insegne del Paese. Com’è noto, si tratta di un passaggio fondamentale e delicato. Soprattutto nei casi in cui a una leadership indiscussa e riconosciuta si debba sostituire una nuova gestione. L’individuazione di uno o più professionisti a cui affidare le redini dello studio non è mai facile. Ma la prova più pericolosa è rappresentata dalla verifica del consenso. In questo quadro, gli studi di recente costituzione hanno un vantaggio competitivo chiaro.

Il terzo riguarda il capitale umano. Tante delle strutture partite di recente sono state messe in piedi dai più talentuosi avvocati che militavano in associazioni da cui sono stati costretti ad andar via per poter affermare pienamente le proprie potenzialità, o superare gli ostacoli costituiti da conflitti d’interesse, o ancora liberarsi da una governance poco trasparente. Fatto sta che, in molti casi, sono state le risorse migliori a mettersi in proprio. Vale a dire quelle che avrebbero potuto prendere le redini degli studi da cui sono uscite ma che non vedevano disponibilità, da parte del resto della partnership, verso la propria affermazione alla guida degli stessi studi. Si tratta di professionisti che sono andati sul mercato portando le loro competenze, mettendo a frutto le relazioni coltivate con i clienti e misurandosi con le realtà più consolidate investendo su competenza e flessibilità.

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