TREVISAN & CUONZO SUL BREVETTO UNITARIO: UN DANNO PER LE PMI
di Vittorio Cerulli Irelli*
Come forse non tutti sanno, lo scorso 31 dicembre è stato pubblicato sulla Gazzetta dell’Unione Europea il Regolamento istitutivo del brevetto europeo con effetto unitario (il c.d. brevetto unitario). Poco dopo (il 13 gennaio) è stata pubblicata la versione definitiva dell’accordo istitutivo della nuova Corte centralizzata europea, che avrà giurisdizione esclusiva sul “nuovo” brevetto unitario e sui “vecchi” brevetti europei. Dal 19 febbraio il testo dell’accordo sarà aperto alle sottoscrizioni e dovrà quindi essere ratificato secondo le regole costituzionali di ciascuno stato membro. L’entrata in vigore del nuovo sistema è subordinata alla ratifica dell’accordo da parte di Germania, Francia, Regno Unito e almeno altri 10 paesi firmatari.
Si è quindi esaurita la fase negoziale intergovernativa e l’unico ostacolo ancora esistente sulla strada dell’istituzione del brevetto unitario è rappresentato dalla ratifica dell’accordo da parte dei singoli ordinamenti nazionali. Pur non essendo affatto detto che ciò accada (basti ricordare che anche l’ultimo vero tentativo di istituzione di un brevetto unitario, ossia l’accordo sul brevetto comunitario del 1989, venne sottoscritto ma mai ratificato da un sufficiente numero di stati firmatari), non si può non prendere seriamente in considerazione questa eventualità.
Come noto, l’Italia si è opposta all’istituzione del brevetto unitario. Ciò in ragione del regime trilinguistico adottato (in base al quale i nuovi brevetti unitari saranno redatti solo in inglese, tedesco o francese). Non vi è invece nessuna opposizione alla creazione della Corte centralizzata. Ciò significa che se si dovesse giungere all’istituzione della Corte centralizzata con ratifica anche da parte dell’Italia, tutte le imprese italiane saranno soggette a tale nuovo sistema giurisdizionale.
Principale conseguenza sarà che ogni preteso contraffattore potrà essere citato – con effetti paneuropei – innanzi a qualsiasi sezione nazionale della nuova Corte, alla sola condizione che i suoi prodotti siano commercializzati nel paese membro in cui ha sede la specifica sezione nazionale adita.
Volendo offrire un esempio, un’impresa italiana i cui propri prodotti siano commercializzati in Germania potrà essere citata per contraffazione innanzi alla sezione tedesca della Corte. La decisione di quest’ultima riguarderà tutti i paesi membri dell’accordo istitutivo della Corte centralizzata e quindi anche l’ Italia, dove la decisione avrà valore di titolo esecutivo. Tale decisione potrà disporre l’inibitoria della produzione in Italia, il sequestro dei beni contraffattivi e dei mezzi di produzione in Italia, il risarcimento del danno e tutte le altre misure tipiche poste a tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Tale decisione sarà in tedesco, emessa all’esito di un procedimento – cui l’impresa italiana non potrà sottrarsi – svolto in tedesco o, al massimo, al ricorrere di determinate circostanze, nella lingua del brevetto (che in ogni caso non sarà mai l’italiano). Tale decisione sarà poi appellabile innanzi alla Corte d’Appello in materia brevettuale che avrà sede a Lussemburgo. La lingua dell’appello sarà quella del primo grado, e quindi ancora una volta il tedesco. Esaurito l’appello, non ci sarà alcun terzo grado di giudizio.
Basta un minimo di buon senso per rendersi conto che l’introduzione di tale sistema pone rischi enormi per l’apparato produttivo italiano, la cui ossatura è composta da piccole e medie imprese che spesso operano in mercati altamente innovativi e dominati da un market leader (quasi sempre non italiano) dotato di un forte portafoglio brevettuale. Fino ad oggi, per cercare di bloccare la produzione delle piccole (ma dinamiche e “fastidiose”) imprese italiane, bisognava venire a fare causa in Italia. Se si giungerà mai alla creazione di una corte centralizzata, venire in Italia non sarà più necessario. Basterà rivolgersi alla propria sezione preferita della corte centralizzata.
Se questi saranno gli effetti, una domanda è ineludibile: la creazione di un tale sistema giurisdizionale è nell’interesse delle PMI italiane? Non è piuttosto un bel servizio reso alle aziende americane, giapponesi, tedesche, cinesi e coreane che sono – secondo i dati dello stesso Ufficio europeo dei Brevetti – i più grandi depositanti di domande di brevetto e hanno una cultura brevettuale infinitamente più avanzata della nostra?
Occorre trovare una risposta a tale domanda, e occorre farlo subito. Ove si dovesse concludere che l’adozione del nuovo sistema non è consigliata, infatti, non sarà sufficiente rimanere fuori (impugnando nel contempo i regolamenti appena pubblicati negli strettissimi tempi a disposizione). Occorrerà anche prendere tutte le necessarie iniziative diplomatiche affinché il nuovo sistema non venga approvato da tutti quegli altri paesi che non risultano avere una convenienza economica diretta nella creazione di una corte centralizzata.
L’importanza di quanto appena esposto è del resto presto dimostrata. Diversamente rispetto a quanto avvenuto da noi, le istituzioni inglesi si sono interrogate per tempo circa le conseguenze economiche derivanti dall’istituzione della nuova corte centralizzata. In particolare, il Parlamento, a seguito di una lunga serie di audizioni, ha concluso che il nuovo sistema rischia di essere pregiudizievole proprio per le piccole e medie imprese e ne ha raccomandato l’adozione solo ove la sezione centrale della Corte avesse avuto sede a Londra. Ciò al fine di controbilanciare gli effetti negativi che il nuovo sistema avrebbe avuto per il sistema economico inglese.
Gli inglesi hanno quindi dato il proprio via libera all’attuale versione dell’accordo solo una volta che si è stabilito che uno dei tre tronconi della sezione centrale avrà sede a Londra (gli altri due avranno sede a Parigi e a Monaco). Ma quale sarebbe l’utilità per l’Italia derivante dall’adozione del nuovo sistema? Quale l’utilità per tutti gli altri paesi che non ospiteranno la sezione centrale della Corte? Occorre muoversi il prima possibile per rispondere a queste domande. Si tratta di una tematica troppo importante per il nostro futuro industriale per continuare ad essere affrontata con la superficialità che fino ad oggi ha caratterizzato il dibattito.
*Trevisan & Cuonzo Avvocati