2: IL CASO SALLUSTI SECONDO SPECCHIA DI LIBERO

LA GALERA A SALLUSTI? PIU’ CHE UN DELITTO UN ERRORE

di Francesco Specchia, giornalista di Libero

Premetto che, essendo io uno dei fondatori di Libero, conosco Alessandro Sallusti molto bene. Ed essendo io un moderato di ascendenza montanelliana nel senso di Indro Montanelli, non condivido quasi nulla della linea politica ed editoriale di Sallusti negli ultimi anni (pur riconoscendogli altri meriti: Sallusti è uno dei migliori organizzatori di redazioni sulla piazza. E quando al Corriere faceva il cronista fu un grande cronista…). Anzi, spesso mi sono scontrato con lui sul tema dell’obbiettività della notizia e dell’attacco a prescindere dell’avversario (una politica dei giornali “d’area”, cara anche a Repubblica o al Fatto); e, inoltre, non mi riconosco per niente nello slogan, troppo approssimativo, “siamo tutti Sallusti!” che qualche collega ha innalzato in nome della libertà di stampa tout court.

Ciò premesso, Sallusti è comunque un grande professionista. E solo pensare alla galera per un giornalista, mi suona come un’aberrazione. Lasciamo stare l’antipatia personale di chi lo vorrebbe morto, o la “difesa di corporazione”. E sorvolerei anche sulle questioni tecnico-giuridiche, che in questo frangente ritengo speciose. Il reato di diffamazione c’è tutto, inutile negarlo. Farina s’è lasciato trascinare dalla sua furia antiabortista; mentre invece – nessuno l’ha notato – il collega Monticone che firmava il pezzo di cronaca che affiancava il commento di Farina è stato molto più cauto.  Sallusti ha senz’altro una responsabilità oggettiva, di omesso controllo: ed è pagato lautamente per sopportarne le conseguenze,  e sta bene. Ma il punto non è questo.  Il punto è che è vero che in Italia non esiste un “reato d’opinione” come nella common law e non v’è nessun primo emendamento a cui appellarsi; ma è pur vero che la diffamazione in sé risulta, semanticamente, un’opinione. Sbagliata, ma pur sempre opinione. Quindi, in buona sostanza, si tratta di finire al gabbio per un’opinione. C’è, poi, una sequenza che non mi torna. Sallusti viene condannato a pagare 5mila euro (un’inezia). Il direttore del Giornale, “in nome del principio per cui non si dovrebbe finire in carcere per un articolo, oltretutto non scritto da lui, rifiuta la conciliazione”, che si aggirava mi pare sui 30mila euro (poco più che un’inezia). La Suprema Corte allora gli affibbia 14 mesi di reclusione senza condizionale. Da 5mila euro alla galera. Mi pare una sproporzione mostruosa. A questo punto è vero: il problema è etico e soprattutto politico. E il sospetto è che qualche giudice, nel passaggio del caso tra un’aula all’altra, abbia pensato ad un’azione esemplare verso il  più vistoso rappresentante di un frangia di giornalisti che da sempre fanno le pulci ai giudici stessi. E’ più di un sospetto, oserei; e lo dico da liberal-liberale, liberista, qualcosa di completamente antitetico ai giornalisti anti-magistrati per vocazione.  Il sospetto è che, data la guerra fra un certo tipo di giornalismo – più “di destra” e garantista- e parte della magistratura, il caso Sallusti possa oggi servire da memento per le battaglie future. E qui, scusate, non ci sto.

Inutile riportare la frase ritrita di Voltaire sul fatto di battersi per la libertà di un’opinione che non si condivide. La stampa tutta  – e non solo – si è infiammata perché qui si mina il principio stesso della libera circolazione del pensiero, creando con Sallusti un pericoloso precedente. Tra l’altro, si fosse voluto dare un esempio per prevenire altri Farina che diffamino in modo così virulento, si è sbagliata la strada.  Sallusti oggi è un martire, e i magistrati ci fanno la figura delle Corti supreme cilene ai tempi di Pinochet. E se vuoi che un giornalista faccia il giornalista con il controllo delle fonti, il rispetto della continenza e tutto il resto, invocare la galera è la cosa più sbagliata. Farina ha chiesto la “condanna a morte” ipotetica del padre della bambina e del magistrato che non aveva colpa? Fategli un multa da 100mila, 500mila, 1 milione di euro, che l’editore chiederà al direttore di pagare in parte, magari scalandoglielo dal lauto stipendio…Sempre che ci sia il reato, e che il direttore non abbia porto pubblicamente le sue scuse, magari con un plateale gesto riparatore. Ma la galera, suvvia, oltre ad essere paradossale mentre stupratori di bambini, omicidi, bancarottieri e ladri sono a piede libero, non è solo un atto liberticida, è un atto cretino. Come diceva Talleyrand è più che un delitto, è un errore.

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